Fu il sindaco del 2 agosto 1980, colui che seppe tenere unita Bologna di fronte alla bomba neofascista che portò morte e distruzione in stazione. Ma fu anche il sindaco del muro contro muro col movimento, del ’77, della morte di Francesco Lorusso e dei carri armati che arrivarono in città. E ancora, fu il sindaco che, prima volta in Italia, diede a un’associazione lgbt uno spazio pubblico, e che seppe dare gambe al welfare bolognese, basti pensare che un anno prima del suo insediamento come primo cittadino sotto le Due Torri aprì il primo nido italiano. Un’esperienza che poi si impose in tutto il paese. Fu questo e tanto altro Renato Zangheri, sindaco di Bologna tra il 1970 e il 1983, anni complicati e insanguinati dalle bombe e dagli attentati. Renato Zangheri è morto ieri, all’età di novant’anni.

«A lui, uomo delle Istituzioni – ricorda il sindaco di Bologna Merola – la città deve moltissimo per essere diventata modello nella crescita del welfare come motore di giustizia sociale, per aver valorizzato il decentramento come strumento di relazione costante coi cittadini e per aver rappresentato il volto migliore delle istituzioni negli anni del terrorismo, come nel 2 agosto del 1980 quando rappresentò una città ferita e capace immediatamente di reazione, civile nei soccorsi, ferma nella richiesta di giustizia». A piangere la sua morte le istituzioni, i sindacati, la politica. Di lui il Presidente della Repubblica Mattarella ha ricordato «l’esemplare impegno» l’attività di studioso e intellettuale.

«Era un grande politico, un uomo di visione, lucido, freddo, capace di stare un gradino più in un alto rispetto ai poteri economici», sottolinea Mauro Zani, suo compagno di partito per decenni e, come lui, protagonista della politica bolognese. «Quella – ricorda Zani – era l’epoca in cui i poteri istituzionali erano in grado di realizzare una mediazione tra interessi sociali diversi, sempre mantenendo il proprio punto di vista. Oggi la chiamano leadership, all’epoca si chiamava egemonia». Zangheri è stato un protagonista anche culturale per Bologna. Studioso di economia, del movimento socialista e della questione agraria, insegnò all’Alma Mater e già dagli anni 60, molto prima di diventare sindaco, si occupò di cultura per il partito.

«Zangheri è stato uno dei costruttori della nostra democrazia repubblicana – ha detto Simonetta Saliera, presidente dell’assemblea legislativa regionale dell’Emilia-Romagna – Come non dimenticare il suo discorso in occasione dei funerali delle vittime delle strage del 2 agosto 1980? Con la mano del presidente Pertini sulla spalla, nelle sue parole Zangheri seppe tenere ferma la barra di una città che, pur martoriata dalle bombe, non cedeva di una linea rispetto alla difesa della democrazia e della legalità repubblicana».
Poi c’è la questione del rapporto col movimento. «Nel Pci i giovani discutevano e c’era anche un tentativo di dialogo – ricorda Mauro Zani – Zangheri non era certo un uomo che non capiva, ma col movimento ha sempre agito concedendo poco e muovendosi con fermezza». «Nel 1977 venne ucciso Francesco Lorusso e ci fu una rivolta decisa in città. Il sindaco invocò i carri armati e fece presidiare la città dai militari», ricorda Beppe Ramina, all’epoca militante in Lotta continua. «Al funerale di Francesco c’era solo un esponente di rilievo del partito comunista, la distanza tra noi era molto grande».

E non poteva che essere altrimenti vista la posizione di Berlinguer sull’argomento. Ma quello, il 1977, fu anche l’anno del convegno contro la repressione, quando per tre giorni 100mila giovani – «poveri untorelli», li aveva definiti Berlinguer – si riunirono a Bologna.
Nel 2007, intervistato dal quotidiano La Stampa, Zangheri ammise che «non è che avessimo capito molto di quei ragazzi, e di ciò che stava succedendo. Il Pci era di un altro mondo… È ovvio che da me non è mai arrivato nessun ordine al pugno di ferro in piazza, ma certo non fummo in grado di capire, non fummo all’altezza di quella sfida».