Il senso degli irlandesi per la musica si esprime talvolta in segni. Non soltanto emblemi noti come l’arpa di Brian Boru che campeggia sullo stemma nazionale. Anche un semplice cartello affisso in un pub, «listening area», ha il suo valore simbolico, istituzionale, quasi religioso. Sacro è profano. Il rito della seisiùn abbatte ogni divisione di genere, tanto sociale quanto musicale: uomini e donne, danze popolari e arie del bardo O’Carolan, stesso tavolo, stesso pub.Il senso degli irlandesi per la musica si esprime talvolta a parole. Come quelle del presidente della Repubblica Michael Higgins, il quale ha ricordato Paddy Moloney come un ambasciatore, «in prima linea nel rinascimento della musica irlandese».

Ambasciatore lo è stato davvero, il musicista scomparso l’11 ottobre a ottantatré anni. In prima linea sin dal 1962. Londra vibrava alle prime scosse di Beatles e Stones; Dublino rispondeva affidando il rinnovamento della tradizione ai nuovi “capi-clan”, The Chieftains. Anche questi erano segni di un clima che nell’isola di Smeraldo stava per farsi torrido. Proseguendo l’opera iniziata con Sean Ó Riada nei Ceoltoiri Chualann, Paddy si circondò di musicisti di primissimo rango — oltre allo stesso Ó Riada, i cofondatori Sean Potts, Martin Fay, David Fallon e Mick Tubridy — per restituire dignità a un repertorio lasciato per anni alle interpretazioni chiassose e kitsch di Tommy Makem, Irish Rovers e Clancy Brothers.

NELLA MUSICA  dei Chieftains, canzoni d’amore e di mare, canti patriottici e drinking songs intersecavano le loro linee melodiche con quelle delle danze. I piedi battevano a tempo di jig e reel, i ritmi si rincorrevano al suono tipico di whistle, bòdhran, fiddle, uillean pipe. Innestandosi su un retroterra reso fertile da movimenti quali il Comhaltas Ceoltóirí Éireann — avamposto per la salvaguardia di musica, danza e lingua nazionale — la band di Moloney fu la prima a connotare quella musica in senso artistico, curandone arrangiamenti e performance. Fu una seconda rinascita, dopo quella di inizio secolo.

A QUEL FASCINO timbrico, com’è noto, avrebbe ceduto Stanley Kubrick per la colonna sonora di Barry Lyndon. A quel suono si sarebbe sciolto persino Frank Zappa, circondato da Paddy e compagni durante i suoi ultimi mesi: sarà la loro The Green Fields Of America ad accompagnare l’estremo saluto al genio di Baltimora. Nel frattempo il folk revival aveva intrapreso le strade di un europeismo tutto musicale — con la radicalità musicale e politica dei Planxty — mentre l’Irlanda viveva le sue notti più lunghe. Poi gli anni Ottanta e Novanta, successi e pacificazioni, prima del manierismo che riduce tutto a cartolina, a playlist per il giorno di San Patrizio. Ma la storia di Paddy Moloney ci ricorda che il senso degli irlandesi per la musica è ancora forte, e che i frutti di quel «rinascimento» sono ancora lì, pronti a riemergere dagli anfratti dello streaming proprio quando la commozione stimola il ricordo. Vale la pena, abbandonarsi al loro ascolto.