Il post con la notizia della scomparsa Lawrence Carroll battuto dalla Galleria Karsten Greve ha fatto velocemente il giro dei «social», lasciando sgomenti coloro che seguivano il sessantacinquenne artista statunitense. Nativo d’Australia, da qualche anno Carroll aveva eletto l’Italia come sua residenza. Visse a Venezia prima di trasferirsi vicino al Lago di Bolsena. Frequenti erano i soggiorni in Svizzera e in Germania. Questa è una morte inaspettata per il mondo dell’arte avendo colto Carroll nella piena operosità. Poche settimane fa l’artista per la prima volta aveva fatto conoscere le sue fotografie esponendone una copiosa scelta alla Fondazione Rolla di Bruzzella e il 25 maggio avrebbe dovuto presentarsi a Colonia proprio alla Karsten Greve, per l’opening, con opere recenti e una nuova mostra. In questi casi è obbligatorio l’uso del condizionale perché non si hanno notizie di un eventuale rinvio. Per capire l’arte di Carroll bisogna stringersi intorno alla sua biografia e alla sua volontà di pensarsi come autore in funzione dello sviluppo della propria persona.

Questo dato, messo in relazione all’atto del creare, è evinto da un lato dal suo girovagare tra mille mestieri e continenti, dall’altro dal considerare il risultato prodotto funzionale alla sua duplicità artistica e intellettuale. Scoperto da Harald Szeemann per una delle sue mostre happening, Carroll mise a regime il suo mestiere di illustratore per poggiare le sue prime opere su un terreno «poveristico». Questo dialogo con i metodi di riuso di materiali cari all’Arte Povera resterà sempre presente nella sua produzione. Ma, la smodata passione per l’arte italiana, soprattutto per i colori di Giotto e gli oggetti di Morandi, conferirà alle sue opere un’atemporalità  linguistica che susciterà l’interesse dei commissari del primo Padiglione Vaticano alla Biennale di Venezia del 2013, dove Carroll dividerà gli spazi con Studio Azzurro e il fotografo Josef Koudelka. E soprattutto a far conoscere ancor meglio Carroll sarà la grande antologia al Museo Vela di Ligornetto I have longed to move away. Works 1985 – 2017 che in modo pressoché completo misurerà la distanza emotiva (e non cerebrale) tra opera e personalità. Ma, non vanno dimenticate le sue origini né i primi tumultuosi anni della carriera quando osservando attentamente l’alto valore performativo delle sue tele si possono scorgere i legami  sia con le avanguardie di primo novecento, sia con il minimalismo americano, in una traiettoria che ingloba Mondrian a Twombly.