Un uomo solare, empatico, un danzatore dalla fisicità potente, un autore curioso: Ismael Ivo, brasiliano, 66 anni, direttore della Biennale Danza di Venezia dal 2005 al 2012, ci ha improvvisamente lasciato, un’altra vittima del Covid in un Brasile devastato dal virus. Pensarlo oggi è un viaggio tra spettacoli, progetti, conversazioni, risate. Perché Ivo difficilmente, anche nelle situazioni più impegnative, perdeva il suo buonumore, la sua curiosità verso gli artisti invitati a Venezia o all’International Tanzwochen Festival di Vienna, che lanciò nei primi anni Ottanta, il suo gusto per una chiacchierata rilassata sull’arte.

LO RIVEDIAMO camminare per Venezia, elegantissimo incontrare in smoking i tanti ospiti delle sue Biennali dai titoli fortemente centrati sulla comunicatività dei corpi, Body Attack, Under Skin, Body & Eros, Beauty. Ma prima ancora che a Venezia lo sguardo balza indietro ad alcuni spettacoli chiave della sua storia: il conturbante Othello (1995), nato dalla collaborazione con Johann Kresnik, nome cardine del primo tanztheater tedesco scomparso nel 2019, il corrosivo Francis Bacon, ideato sempre con Kresnik, al Comunale di Ferrara. In entrambi pulsante era un corpo conflittuale, drammatico, formidabile nella sua espressività senza filtri.
Perché sotto l’eleganza, lo charme, altre questioni urgevano. «Da esistenzialista quale sono – diceva – , interrogo la mia vita, il mio corpo, il corpo maschile e nero, e dunque la mia storia nel suo contesto». Non è un caso che uno dei suoi lavori più iconici di cui è stato autore e interprete sia stato l’assolo dedicato al controverso fotografo americano Robert Mapplethorpe, famoso per i suoi scatti al corpo nudo maschile.
«In Mapplethorpe – spiegava Ivo – mi trovo in una situazione estrema, chiuso tra due lastre di vetro che mi impediscono di muovermi. È la prigione del corpo nero, ma anche del corpo tout court. Avere a che fare con Mapplethorpe significa imbattersi negli stereotipi del corpo nero e maschile come oggetto erotico».

Ismael Ivo nello spettacolo su Mapplethorpe

UN TEMA SCOMODO, che scaraventa l’immaginario in una visione coloniale, un soggetto con cui Ivo scelse con coraggio di confrontare la sua fisicità statuaria, la sua bellezza indubbia. L’assolo arrivò anche a Venezia nel 2002: l’anno dopo Ivo inizia la sua direzione al settore Danza della Biennale. La lotta tra perfezione e imperfezione, patina di superficie e interiorità lo ha più volte pungolato. «Mi sono ritrovato questo fisico, è vero, ma mi è sempre piaciuto utilizzarlo per mettere in luce non la bellezza in sé, ma personaggi e temi ruvidi».
Così per l’edizione della Biennale intitolata UnderSkin, Ivo puntò a interrogarsi su ciò che è nascosto: «Apro il Festival» disse «con un simposio di medici, scienziati, filosofi e registi, per esplorare cosa si agita in quel corpo quotidiano, mutante, normalmente imperfetto che appartiene a noi tutti».

QUELL’ANNO, era il 2006, Ivo era tornato nella sua San Paolo, in Brasile, a preparare la produzione che avrebbe inaugurato il festival. Torniamo, oggi, a quelle parole. «Provare qui mi riporta alle mie origini. Cammino per le strade e mi ricordo di Ismael quando non era il direttore del Festival della Danza di Venezia. Illuminata è un lavoro che riflette sulla morte come incontro con la verità. Rivedo qui tutta la mia biografia, la mia storia come uomo e come ballerino. Come si percepisce dai quadri di Francis Bacon, che amo molto, dal momento in cui si nasce si cammina verso la morte, un percorso che comprende anche una grande bellezza. Vivere è una fortuna che ci porta verso la luce».
Da San Paolo Ivo era approdato a New York, entrando nel 1983 nell’Alvin Ailey American Dance Theater, storica compagnia afro-americana. Due anni dopo il viaggio verso l’Europa, lo stabilirsi a Berlino, le collaborazioni con Kresnik e Ushio Amagatsu. Poi Vienna, la Biennale. Il cerchio si è chiuso dove si era aperto nel 1955, a San Paolo. Addio, Ismael.