Se oggi nella Cappella Sistina si possono ammirare i veri colori di Michelangelo Buonarroti, il cielo che vira nel lapislazzulo, lo dobbiamo a lui, al restauratore che per quindici anni – dal 1980 al 1994 – ha «pulito», con mano ferma e perizia certosina, da fuliggine e fumo delle candele di sego i volti e i corpi della Volta e del Giudizio Universale. Lo stupore di scoprire cromie inattese via via che lavorava l’ha raccontato lui stesso nel libro-diario Io e Michelangelo (edizioni Musei Vaticani-24Ore Cultura, 2015).

Gianluigi Colalucci – come hanno annunciato su Instagram i Musei Vaticani – è morto nella notte a Roma all’età di 92 anni. Era nato nel 1929 nella capitale, da una famiglia di avvocati e si era diplomato all’Istituto centrale per il restauro di Roma, quando a guidarlo c’era Cesare Brandi e alla scuola di Giovanni Urbani. Dopo aver lavorato nella Galleria nazionale di Sicilia, a Creta e a Padova, negli anni 60 entrò nel Laboratorio di restauro delle pitture dei Musei Vaticani, che poi diresse dal 1979. Il suo restauro, considerato «l’intervento del secolo», ha restituito il Michelangelo originario ma è stato al centro di roventi polemiche, soprattutto in ambito americano (anche Warhol si risentì).

Fra gli artisti di cui ha «curato» importanti opere figurano Raffaello, Giotto, Leonardo, Guido Reni, Lorenzo Lotto, Tiziano, Andrea Mantegna, Caravaggio, Guercino, Perin de Vaga, Dosso Dossi. Nel 1991 Colalucci conseguì la laurea honoris causa presso la New York University e nel 1995 fu la volta dell’Università Politecnica di Valencia – dove tenne dei corsi per quattro anni. È stato docente presso diverse università, istituti e musei in Europa, negli Stati Uniti, in Australia e in Giappone.