Negli anni cinquanta e sessanta era una star del cinema sudcoreano – dove appare in oltre cento titoli – ma a renderla famosa in tutto il mondo è stato il suo rapimento: l’attrice Choi Eun-hee, morta ieri a 91 anni, sparì infatti da Hong Kong, dove era stata attirata con l’inganno, un giorno del 1978 – per riapparire mesi dopo in Corea del Nord. A rapirla erano stati gli uomini di Kim Jong-il – il dittatore nordocoreano la cui passione cinefila è sempre stata ben nota. Di lì a poco la «raggiungerà», sequestrato anche lui per volere di Kim, l’ex marito e prolifico regista Shin Sang-ok.

Insieme, i due hanno diretto (e Choi interpretato) 17 titoli nordcoreani tra i quali Salt, con il quale nel 1985 ha ottenuto il premio per la miglior attrice al Festival di Mosca. Kim, scusandosi per i modi «bruschi» con cui li aveva fatti condurre al nord del 38esimo parallelo, aveva confessato alla coppia di voler con il loro aiuto far nascere un grande cinema nordcoreano – parole registrate segretamente dai due e poi rese pubbliche quando nel 1986 riuscirono a scappare raggiungendo l’ambasciata americana di Vienna, dove si trovavano per un altro Festival. Una storia raccontata nell’autobiografia dell’attrice, Confessions of Choi Eun-hee, ma riportata all’interesse internazionale dal libro del 2015 di Paul Fischer – A Kim Jong-Il Production – e dal bel documentario di Robert Cannan e Ross Adam: The Lovers and the Despot.