L’ex presidente algerino Abdelaziz Bouteflika è morto venerdì sera, all’età di 84 anni, nella sua residenza di Zeralda trasformata in infermeria per assicurargli le cure necessarie. Il presidente che più a lungo ha governato l’Algeria, vent’anni, da quando era stato colpito da ictus nel 2013 non era stato più in grado di assolvere ai suoi compiti. Tuttavia è rimasto al potere fino al 2019 quando, di fronte alla pretesa di candidarsi per la quinta volta, l’Algeria è insorta dando vita al movimento dell’hirak che lo ha costretto a dimettersi in condizioni umilianti, su ordine dei militari, il 2 aprile.

SI TRATTA DELLA VITTORIA più importante del movimento che vuole estromettere dal potere tutta la nomenklatura corrotta che l’ha paralizzata per anni, senza riuscirci per ora. Sotto accusa è finito il bouteflikismo, che ha portato alla sbarra e in carcere molti collaboratori del presidente, anche il fratello, ma non ha mai toccato lui e molti si sono chiesti perché.

La carriera di Bouteflika, nato in Marocco, a Oujda, da una famiglia di Tlemcen, comincia all’età di 19 anni, con la partecipazione alla guerra di liberazione dalla colonizzazione francese, dove entrerà nelle grazie di Houari Boumediene, di cui sarà segretario particolare. Nel 1962, a soli 25 anni, diventa Ministro della gioventù, degli sport e del turismo dell’Algeria indipendente con il governo di Ben Bella, oltre a far parte della costituente. In seguito da Ministro degli Esteri gioca un ruolo importante nel colpo di stato del 1965 contro Ben Bella – che voleva le sue dimissioni – che porta al potere Houari Boumediene.

SEGUONO GLI ANNI PIÙ BRILLANTI della diplomazia algerina: l’Algeria diventa portavoce del terzo mondo, ospita gli incontri dei movimenti di liberazione, sostiene la lotta contro l’apartheid in Sudafrica e Bouteflika accresce la propria reputazione di abile interlocutore. Si riteneva «il degno» successore di Boumediene e non ha mai accettato la designazione di Chadli Bendjedid. Il suo allontanamento dal potere coincide con l’accusa da parte della Corte dei conti di aver dirottato fondi verso cancellerie algerine all’estero. Per Bouteflika inizia l’esilio di sei anni, trascorsi nei paesi del Golfo. Rientrato in Algeria nel 1980 rifiuta proposte di incarichi ministeriali e perfino di capo dello stato, quando sarà nominato Liamine Zeroual.

Nel 1998 ritiene sia giunta la sua ora e si candida come salvatore della patria, sfruttando anche l’accordo raggiunto durante la presidenza Zeroual (nel 1997) tra esercito e islamisti per lanciare il progetto di «concordia civile» che si trasformerà poi in «riconciliazione nazionale». Bouteflika, abile comunicatore, deve la sua popolarità all’immagine dell’uomo che ha portato la pace dopo un decennio di terrorismo, poco importa se la concordia non ha fatto chiarezza sui responsabili dei massacri e ha garantito l’impunità sia agli islamisti che ai militari, l’importante era porre fine al decennio nero. Bouteflika ha saputo convincere anche esponenti dell’opposizione – di allora – che sono entrati a far parte del suo governo. Altre coincidenze hanno favorito la sua presidenza, come l’aumento del prezzo del petrolio che gli ha permesso di eliminare un pesante debito estero. Sono stati anni in cui la manna del petrolio ha permesso la costruzione di grandi infrastrutture, di sostenere progetti per i giovani penalizzati dalla disoccupazione e che per questo l’hanno sostenuto.

MA LE VACCHE GRASSE non durano in eterno e i progetti faraonici – come la costruzione della grande moschea con il minareto più alto d’Africa – potranno soddisfare l’ego di un capo di stato narcisista ma erodono la popolarità e la credibilità di un presidente che non ha mantenuto le promesse, innanzitutto quella di non far più dipendere l’Algeria solo dagli introiti degli idrocarburi. L’entourage di Bouteflika si è mostrato corrotto e ha premiato i personaggi che hanno costruito le proprie ricchezze sfruttando le coperture garantite dal potere.

È morto Abdelaziz Bouteflika, il bouteflikismo sopravviverà?