Il nome lo aveva creato per lei Coco Chanel il giorno che quella ragazzina arrivata dalla Danimarca a Parigi, alla fine degli anni Cinquanta, si era presentata alla sua maison: «Quando ha sentito che mi chiamavo Hanne Karin Bayer ha fatto una smorfia e ha sentenziato: ’Anna Karina andrà benissimo!’». E dunque che Anna Karina sia, Anna K., reminiscenze tolstojane nella ville Lumière in cui le tensioni della guerra di Algeria si mescolavano agli entusiasmi dei cinephiles che smantellavano il «cinema di papà» per liberare i propri umori e i propri sentimenti. «Tanto cinema di Godard ripeteva i nostri gesti e le parole che ci dicevamo l’un l’altra, lui li metteva in scena» racconterà Anna Karina.

I bar, i giornali letti quasi con furia, le camminate lungo i boulevards, le sigarette, le discussioni infinite, i molti caffè: lei ne diviene l’icona, il volto di un’epoca, di quella Francia che si voleva moderna e pop – in cui sarà ancora facile però essere intrappolati nella censura che la colpirà più tardi, quando veste i panni di Suzanne Simonin, la ragazza di buona famiglia spedita in convento in La religieuse (1967) di Jacques Rivette, adattamento del romanzo epistolare di Diderot (1796) messo all’indice – e con grandissimo scandalo – per il doppio peccato di blasfemia e tradimento letterario.

NON ERA LA PRIMA volta, ma l’aria del tempo fugge da ogni parte, i crucci dei fustigatori non bastano a frenare energia, irrequietezza, invenzioni, rivolta. Sono anni di amori, di scoperte, di folgorazioni. Di sfrontatezza e di desiderio.
E Anna K.? Chi è questa ragazza dagli occhi immensi? Quali sono i suoi segreti? – A lei aveva dedicato un magnifico ritratto il regista torinese Armando Ceste. Da rivedere ora.
A diciassette anni quando era appena arrivata in Francia – nel 1957 – appariva nella pubblicità di una saponetta, immersa in una bolla di profumo, Palmolive e Tolstoj, combinazione esplosiva. «Con quegli occhi era impossibile non notarla» dirà di lei Serge Gainsbourg che scrive per Karina Sous le Soleil exactement – «… Un punto preciso del tropico del Capricorno o del Cancro, ho dimenticato quale, Sous le soleil …» – divenuta una hit.

Godard la nota e la chiama per Fino all’ultimo respiro, ha gli occhiali scuri e fuma Boyard di mais, il primo incontro tra i due è tumultuoso come tutti i grandi amori. Raccontava lei: «Mi ha detto che avrei dovuto levarmi la maglietta davanti a Belmondo mostrando il seno. Gli ho risposto che sognava, non lo avrei mai fatto».
POCO DOPO JLG le propone il ruolo da protagonista in Le Petit Soldat (1963) – «Sarà un film politico» le dice. Difatti parla della guerra di Algeria e verrà censurato per alcuni anni. Anna accetta, poi declina, lui le manda cinquanta rose rosse … Le riprese vanno avanti per settimane, alla fine Godard invita tutta la troupe a cena in Svizzera. Sotto il tavolo le passa un biglietto, c’è scritto: «Io l’amo, appuntamento a mezzanotte al Café de la Paix di Ginevra».

La coppia è nata, l’autore e la sua musa, l’attrice e il regista, sei anni e sette film, «gli anni Karina» di Godard che rendono Anna K. l’immagine femminile della Nouvella vague, la verità 24 volte al secondo – letteralmente nella doppia rivelazione del cinema e dell’amore.
È la Marianne indimenticabile col suo «Che cosa posso fare!» in Pierrot le fou, l’Angela di Une Femme est une Femme, la conturbante Nana di Vivre sa Vie o l’enigmatica Natacha Von Braun, rivelata a sé stessa da Eddie Constantine alias Lemmy Caution e dalla poesia di Paul Eluard in Alphaville.

LUCI E OMBRE, lacrime e risate, l’amore che è destinato a scomparire, lo sanno entrambi, con la malinconia di un addio sempre sospeso che traccia questa filmografia in cui si specchia la relazione iniziata quando Anna Karina ancora minorenne, poi il matrimonio nel 1961 e l’addio nel 1967 con lo sguardo finale di Karina in Anticipation – episodio del film collettivo Le plus vieux métier du monde. E le immagini, appunto, che restano, sono lì con la vita, e quel femminile che insieme attrice e regista hanno inventato.

NEL 1965 Pierrot le fou appare come un’epifania in anni di passioni tumultuose: «Ho il ricordo un set molto allegro, c’era il sole, ci divertivamo molto» racconterà Karina. Col suo caschetto è divenuta un riferimento di stile duraturo nel tempo, come i suoi abiti nei film che continueranno a ispirare gli stilisti a venire. Anna è vivace, forte, fragile: sa dare un’immagine al sentimento dell’essere al mondo, all’amor fou destinato a finire male, tra la noia dell’ordinario e la fuga di un’improvvisazione jazz (Pierrot le fou).

Dopo Godard ci saranno altri film, anche se per molti che l’hanno ricordata in questi giorni Anna Karina è indissolubilmente l’icona degli anni Karina di Godard, alchimia irripetibile di un incontro. Lavorerà con Visconti, Cukor, Fassbinder, Zurlini fino a Demme, e da regista lei stessa – Vivre ensemble. È un’altra cosa, certo, come è diverso il Godard successivo al loro incontro. Ma è la vita, irripetibile.