Le parole d’ordine usate da Luigi Di Maio per infilare il M5S in una mediazione che salvi il governo e lo tenga in sella sono due: la consueta ma sempreverde «centralità del parlamento» e l’oscura «logica di pacchetto». In questo modo, con un impegno alla consultazione delle camere e un auspicio di riforme europee più ampie, la risoluzione sul Mes passa sia alla camera che al senato. Anche se Conte ne approfitta ancora una volta per collocare la sua maggioranza sul terreno europeista, in polemica esplicita con il sovranista Salvini e mantenendo una tensione indiretta con lo stesso capo politico grillino, che fa buon viso a cattivo gioco e rassicura i suoi confermando che con il tagliando di inizio anno il governo durerà «fino alla fine della legislatura».

La missione è compiuta ma comporta alcune perdite sul campo, soprattutto sul terreno di battaglia paludoso di Palazzo Madama. Dove sono in quattro a dirsi in dissenso, tre dei quali provengono dalla quota uninominale riservata alla società civile, selezionata dai vertici grillini e dunque ascrivibile allo stesso Di Maio. Due di loro, per di più, sono campani come lui. Uno di questi manifestava malumori da tempo.

È il professore Ugo Grassi, eletto nel collegio uninominale di Avellino e docente di diritto civile a Napoli. «Annuncio il voto in dissenso dal gruppo e constato di non riconoscermi più nelle politiche del mio Movimento» dice Grassi in aula. Grassi vota a favore della mozione di Forza Italia, prima firmataria la capogruppo Anna Maria Bernini. Ma scorrendo i tabulati il suo sì compare anche in calce al testo dei salviniani. Per il testo della Lega si esprime anche il senatore grillino Francesco Urraro, ex presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati di Nola, che sottolinea come il tema del Mes sia «fuori dal programma 5 stelle».

Gianluigi Paragone, invece, prima lanciato un sondaggio online sulla posizione da assumere e poi dichiara il suo voto contrario alla risoluzione della maggioranza. Ma precisato che la sua «non è una dichiarazione in dissenso prodromica a cambi di gruppo». Chi è in procinto di passare alla Lega è il senatore umbro Stefano Lucidi, che a differenza dei precedenti viene dal M5S ed è al secondo mandato.

Lui fa risalire tutto alle elezioni nella sua regione: «Qualcuno qualche giorno fa ha detto che le elezioni in Umbria erano un esperimento: io non mi sento una cavia e neanche un criceto, quindi esco dalla ruota e voto no».

Di Maio attacca Salvini e lo accusa di avere aperto il «mercato delle vacche». Grassi, che era dato in procinto di passare coi renziani di Italia viva, respinge le insinuazioni: «Sono toni che io non utilizzo, io parlo di politica, lui di poltrone. Sono mesi che mando segnali di disagio. Ho segnalato disfunzioni per un anno e mezzo per poi capire che non venivo ascoltato per nulla, segnali di disagio senza alcun riscontro. Allora pensi: ’Che mi avete chiamato a fare?’ Vi siete dimenticati di quelli come me. Chiedevo solo di essere usato, sono stato rinchiuso nello stanzino a doppia mandata».

In serata, dopo settimane di passione, arriva la buona notizia: i deputati sono riusciti a eleggere il capogruppo alla camera. È Davide Crippa, che ha raccolto l’agognata maggioranza assoluta da candidato unico. Domenica alle 18, dopo due giorni di consultazione su Rousseau, Di Maio annuncerà il team dei facilitatori. Da qui partirà la sua sfida per riprendersi davvero il comando del M5S.