Adam Rzepecki pioniere del selfie, suo malgrado: «Allora le cose erano diverse. Utilizzavo un grandangolo puntato su di me mantenendo la macchina fotografica con entrambe le mani. L’importante non era immortalare me stesso ma tutto il resto», racconta l’artista polacco classe 1950, originario di Cracovia. Per capire meglio questo passaggio è stato rivelatore visitare a ottobre l’esposizione «Il vecchio Rzepecki guarda al nuovo Rzepecki» di scena al Bunkier Sztuki nella sua città natale. E dagli anni cinquanta che il «bunker dell’arte», ospitato dal 1965 in un edificio dalla facciata brutalista progettata da Antoni Hajdecki, funziona da kunsthalle cittadina.

Rzepecki non è mai stato un artista impegnato nel classico senso del termine. O meglio, forse di lui si può dire che è un artista impegnato a modo suo e soprattutto nei confronti di sé stesso. A suggerirlo non sono soltanto gli autoscatti del 1979 davanti alla chiesa di Santa Maria oppure ad altri scorci della centralissima Piazza del mercato a Cracovia. Questa imponente area libera di origine medievale, di solito inondata dai turisti, è stata un parco giochi importante per le sperimentazioni di Rzepecki. E qui che nello stesso anno si sarebbe mescolato tra la gente con una coda di volpe attaccata al fondoschiena senza rinunciare a gestire una galleria d’arte all’interno del club studentesco «Pod Jaszczurami» nella medesima piazza. Sette anni dopo sarebbe salito sulla stessa chiesa per celebrare il settantenario della nascita del Cabaret Voltaire a Zurigo utilizzando una pistola giocattolo con polvere da sparo. Un gesto che a prima vista sembrerebbe del tutto innocuo, se non fosse che Rzepecki aveva scelto di «sparare» durante la melodia dell’hejnal suonata quattro volte ogni ora da un trombettiere dalla torre dell’edificio. L’hejnal è una vera e propria istituzione nazionale e viene trasmesso ogni giorno a mezzogiorno dal 1927 dalla radio polacca. Anche se la sua carriera è stata un susseguirsi di piccoli gesti sacrileghi e performance a dir poco ironiche, l’artista non ha mai scelto di fare come se nulla accadesse intorno a lui. Con l’introduzione della legge marziale in Polonia nel’inverno del 1981 la sua galleria chiude i battenti.

Come tanti altri intellettuali e artisti Rzepecki non sta né con i «rossi» né con i «neri». In molti negli anni della messa al bando del sindacato Solidarnosc cercano una terza via lontano dalle ali protettrici delle autorità comuniste o della chiesa, a seconda dei casi. C’è chi si dà alle wystawy walizkowe, le «mostre valigia» aperte e chiuse alla chetichella nei sottoscala del paese prima che le autorità ne venissero a sapere qualcosa. Ma Rzepecki è figlio della kultura zrzuty ovvero quella (contro)cultura della partecipazione tutta polacca fatta d’incontri artistici spesso organizzati all’aria aperta. Sono momenti di scambio e confronto importanti per una nuova generazione di artisti o presunti tali. D’altro canto è lo stesso Rzepecki a riportarlo in una dichiarazione programmatica: «Da oggi in poi pretenderò di essere un artista» dipinta su un muro durante un raduno estivo a Osieki un paio di mesi prima dell’entrata in vigore dello stato di emergenza nel paese.

Rzepecki tornerà sul tema con ritrovata ironia negli anni successivi insieme agli altri esponenti del gruppo artistico «Lódz Kaliska» nella città capitale del cinema polacco. Durante tutto il decennio «Lódz Kaliska» resterà attivo con numerosi happening e in campo editoriale con la rivista clandestina Tango di cui Rzepecki disegnerà la copertina del primo numero mettendo dei baffi alla celebre effige mariana della Vergine Nera di Czestochowa. Tra i collaboratori di Tango anche quel Zbigniew Libera esponente di spicco della scena dell’arte critica in Polonia degli anni novanta e conosciuto all’estero soprattutto per un campo di concentramento nazista costruito con i mattoncini Lego.

È indubbio che l’ammirazione per Marcel Duchamp trasudi da tutti i pori di Rzepecki. Nel 1986 l’artista polacco in trasferta a Stoccolma omaggerà il maestro francese orinando su una replica della fontana esposta al Moderna Museet. Un gesto solo in apparenza dissacrante nella propria banalità e che invece vuole celebrare la sacralità del ready-made duchampiano nei secoli dei secoli. La carica autoironica che attraversa tutta l’opera di Rzepecki lo rende immune dall’essere considerato l’ennesimo epigono di Duchamp. Per lo stesso motivo è difficile non pensare invece all’altro Marcel, Broodthaers anche se Rzepecki sembra meno incline a cercare la poesia nel fallimento del processo artistico.

Con il passare del tempo pare evidente che abbia cominciato a prendersi più sul serio dandosi anche alla pittura come dimostrano i lavori esposti al piano superiore del Bunkier Sztuki che ci restituiscono un Rzepecki inedito. Ridacchia quando lo definisco un «surpittore» visto che per alcuni anni Rzepecki si sarebbe limitato a dipingere sopra le immagini degli altri, madonne o pubblicità di biancheria intima che fossero. Sì proprio così, sopra. Sono passati 50 anni dal suo primo acquerello allora forse è davvero meglio riderci sopra, appunto.