La buona notizia per la giovane Shaima Swileh è arrivata mentre ad Hodeidah entrava in vigore una fragilissima tregua: il Dipartimento di Stato Usa ha finalmente rilasciato un visto di ingresso alla yemenita, madre di un bimbo di due anni in fin di vita. Abdullah soffre di una malattia genetica al cervello e secondo i medici dell’ospedale di Oakland (dove è ricoverato dal primo ottobre) non sopravviverà a lungo.

Con lui c’è il padre Hassan, cittadino statunitense, ma non la madre: da yemenita le è impedito l’ingresso negli Usa dal Muslim ban trumpiano. Una restrizione che colpisce il popolo dello Yemen, ma non il suo principale carnefice, l’Arabia saudita, che – alti e bassi a parte e nonostante siano stati suoi cittadini gli attentatori dell’11 settembre – è uno dei più solidi partner americani.

Nelle stesse ore, la città portuale di Hodeidah viveva un surreale primo giorno di cessate il fuoco: il fuoco non è cessato, ma si è sicuramente ridotto. La tregua, siglata in Svezia la scorsa settimana da governo filo-saudita e ribelli Houthi, riguarda i tre porti di Hodeidah, Ras Isa e Salif (scali sul Mar Rosso) e sarà seguita dal ritiro delle forze governative e Houthi entro tre settimane.

Il ritiro sarà supervisionato dall’Onu che insieme a non meglio specificate «forze locali» si occuperà di gestire i porti e di inviare le entrate alla depredata Banca centrale. Che a sua volta pagherà gli stipendi ai dipendenti pubblici nelle zone in mano ai ribelli, 1,2 milioni di persone impiegate in sanità, scuola e servizi pubblici, senza salario da due anni, una realtà che ha condotto – insieme ai bombardamenti mirati sauditi su cliniche, scuole e infrastrutture – al collasso del paese.

Il sistema ancora vago dovrebbe garantire una svolta nel conflitto da concretizzare a gennaio 2019 in un nuovo round negoziale in Svezia. E nell’immediato dovrebbe condurre alla demilitarizzazione della costa ovest e all’ingresso massivo di aiuti umanitari, finora arrivati ai civili con il contagocce. Restano dubbi sulla struttura delle «forze locali» (dovrebbero essere “bipartisan”) e allo sminamento.

Tutto dipenderà dalla tenuta della tregua. Fino a poche ore prima dell’entrata in vigore, nella notte tra lunedì e martedì, si sono registrati scontri e raid aerei. Nella giornata di ieri, la città ha assistito a una de-escalation nonostante scontri sporadici tra le due parti. Spetta all’Onu monitorare, a partire – si spera – già da oggi con l’arrivo del team di ispettori, sebbene non si sappia ancora quali Stati lo comporranno.

Come non si conosce la reazione dei separatisti meridionali, esclusi dai colloqui. Partner ufficiosi degli Emirati arabi, sono una significativa forza di destabilizzazione, soprattutto a causa dei rapporti di interesse stretti con al Qaeda nella Penisola arabica: «Una pace che non soddisfi le aspirazioni del sud porterà a disordini», ha detto venerdì il leader del Southern Transitional Council, Ahmed Omar bin Farid.