Una bambina di otto anni ieri ha ricordato la persistenza della guerra civile: è stata fatta saltare in aria a Damasco, davanti ad una stazione di polizia nel centrale quartiere di Midan, area di mercato il venerdì più affollata del solito.

Ad Aleppo, intanto, l’evacuazione dei miliziani islamisti si interrompeva di nuovo. La fragilità dell’accordo stretto mercoledì dalla Russia con la mediazione della Turchia sta nelle esplosioni intorno ai convogli in uscita dalla zona orientale: non tutti i gruppi hanno accettato di andarsene, tanti i miliziani che restano in città, presenza che allontana ancora la fine degli scontri.

Dentro resta quella parte di islamisti che non ha interesse ad abbassare le armi, l’ex al-Nusra e la galassia salafita e jihadista che hanno assunto il controllo pressoché totale del composito fronte di opposizione.

Governo e milizie si rimpallano la responsabilità dell’attacco al convoglio: per Damasco è stato sferrato dai miliziani contrari all’accordo, per i gruppi anti-Assad dalle milizie sciite straniere. Secondo la milizia Nour el-Din el-Zinki, i governativi avrebbero confiscato 25 auto con cui i civili si stavano spostando in autonomia, mentre la tv di Stato parlava del tentativo di alcuni miliziani di uscire con armi pesanti. Il risultato delle violazioni è stata la sospensione dei trasferimenti, che ieri in serata non era ancora ripresa.

Se ancora migliaia di civili restano ad Aleppo est, parecchi in strada al freddo in attesa di salire su autobus e ambulanze, ad oggi sarebbero (a seconda delle fonti i numeri cambiano) tra le 6mila e le 9.500 le persone portate via dai quartieri orientali: per oltre la metà miliziani jihadisti, ma ci sono anche civili feriti.

Molti degli evacuati sono diretti verso il confine con la Turchia, dove Ankara – con l’Esercito Libero Siriano che da agosto fa da braccio armato alla guerra ai kurdi siriani – sta mettendo a disposizione tende: prenderemo malati, anziani e bambini, dice il governo turco, ma a preoccupare è l’avvicinamento al confine di miliziani che hanno ricevuto per anni sostegno militare e finanziario dal presidente Erdogan che con gli islamisti condivide il sogno di un sultanato sunnita nella regione.

Un sogno che Ankara, come Riyadh, vede frantumarsi dopo le vittorie registrate da una Damasco data per morta ma rinvigorita dall’intervento russo. Mosca si muove agile, si riavvicina alla Turchia e la coinvolge nel dialogo con l’Iran per ridefinire una rete di alleanze che garantisca stabilità ai propri piani mediorientali. Ieri il presidente Putin ha parlato del prossimo passo da compiere, «un cessate il fuoco nazionale» che conduca a nuovi negoziati, quelli che si dovrebbero aprire a fine dicembre in Kazakistan.

Sullo sfondo sta la prossima entrata in carica del presidente eletto Usa Trump, le cui visioni sulla Siria (ovvero la possibile permanenza al potere di Assad) hanno accelerato le operazioni russe su Aleppo. Giovedì il tycoon ha definito la crisi siriana «molto triste» e promesso di «aiutare». Come? Con zone cuscinetto che gli Stati Uniti creerebbero ma pagate dal Golfo: «Non hanno altro che soldi. Noi no. Farò sì che il Golfo ci dia tanti soldi e creeremo zone sicure dentro la Siria». Non ha specificato cosa intenda per “zone sicure”, ma l’idea è infilarci dentro i rifugiati perché non se ne vadano a cercare tranquillità in Occidente.

Ma la mappa del conflitto permanente non si ferma alle città chiave siriane, la sua geografia investe l’intero paese. A soli 57 km da Aleppo c’è Idlib, il capoluogo di un governatorato che è quasi totalmente in mano all’ex al-Nusra, oggi Jabhat Fatah al-Sham: è lì che i miliziani evacuati dopo gli accordi di tregua vengono ammassati e dove le armi a loro favore convergono, un bubbone jihadista pronto ad esplodere dopo la certa riorganizzazione degli uomini armati che continuano ad affluire.

Potrebbero arrivare a breve anche dai due villaggi sciiti di Fua e Kefraya, che l’Iran ha voluto parte dell’accordo per Aleppo: le due comunità sono da anni ostaggio delle milizie islamiste assediate dalle forze pro-governative. Per adesso l’evacuazione riguarderà i casi umanitari più seri, civili che saranno lasciati andare – dicono fonti dei “ribelli” – dopo il via libera dei qaedisti dell’ex al-Nusra. A cui a quanto pare spetta sempre l’ultima parola.