Kit Zauhar racconta di essersi ispirata per il suo film d’esordio all’ultima settimana vissuta alla New York University, caratterizzata da infinite ansie e incertezze sul futuro. Actual People, nel concorso dei Cineasti del presente, che la vede anche interprete, nasce dunque da lì, presentata come un esempio di mumblecore inclusivo – sul catalogo definito «un mumblecore per le persone di colore» (??).

LA PROTAGONISTA, Riley, è infatti una studentessa asian-american con la confusione millennial sulle scelte e gli amori, quasi sempre disastrosi, comune alla sua generazione. La seguiamo nei suoi incontri fallimentari, nelle serate con sbornia feroce insieme agli amici, nelle liti col compagno di casa – col quale ha fatto sesso e che l’ha sbattuta fuori perché infastidito dalla sua ostentazione di intimità (gira per casa in mutande) mentre lei si ostina ancora a sedurlo. Nei colloqui con gli insegnanti che le continuano a ripetere la fatidica domanda sui progetti per il futuro mentre lei non solo non ha idee in prospettiva ma è al punto che rischia persino di non laurearsi.

Zauhar al suo personaggio infonde la ricchezza di un talento comico sorretto da una scrittura molto precisa, che coglie la «realtà» delle situazioni, ed è capace di restituire le atmosfere e le sensibilità dei suoi personaggi, i desideri e le paure di una gioventù contemporanea. Forse, questa scrittura è persino troppo accurata, attenta a dosare ogni elemento (guardando anche alle nuove «regole» del politicamente corretto) in un film realizzato con un micro-budget (diecimila dollari) e attori non professionisti, che non si concede nessun inciampo e nessuna divagazione ma che procede sempre «come bisogna» sulla sua strada, in luoghi di quello che ormai è un genere collaudato – il mumblecore, la commedia indipendente giovane – di cui abbiamo visto infinite variazioni.

Si va avanti divagando tra domande senza risposta – «Perché voi ragazzi quando fate sesso con una poi non le parlate più?» si interroga la sempre più fragile Riley di fronte le fughe delle sue relazioni che la evitano. Sarà forse che questa insistenza sulla dimensione «interrazziale» del film gli dà un’etichetta un po’ ingombrante specie perché gli ambienti e le figure che li abitano non sono poi così diversi da quanto ci siamo abituati a vedere nel «genere», e questa sottolineatura fa venire un po’ il dubbio dell’ammiccamento (utile) all’aria dei tempi