Vista da Acquaformosa, Firmoza in arbrèshe, sui contrafforti del Pollino che scivolano verso il Mar Jonio, l’immigrazione non è «un problema», men che meno «un’emergenza». Vista da Acquaformosa l’immigrazione è una ricchezza che si declina alla voce integrazione. Da 10 anni Acquaformosa accoglie, include, si apre a chi fugge da guerre, dittature, carestie. Dal 2008 è operativo un progetto Sprar che gli ispettori del Viminale hanno giudicato nel 2017 il migliore in Italia: 0 punti di penalità messi a referto dal ministero degli Interni, ora guidato da Salvini.

GIÀ, SALVINI. Nel dedalo di viuzze dai nomi bilingue italo-albanesi che si inerpicano fino a mille metri di altitudine, vanno a ruba le magliette, non proprio benevole, dedicate al capo del Viminale: No Salvini, Sì Ong. D’altronde, Acquaformosa dal 2012 è il primo comune «deleghistizzato» d’Italia, si legge nel cartello di benvenuto all’entrata del borgo, seguìto dal mega striscione bilingue

«Qui nessuno è straniero». Salvini, quando ancora era solo segretario della Lega, definì una «cazzata» il modello Acquaformosa, parlando di utilizzo illegale di fondi pubblici. Il sindaco di allora, attuale vicesindaco e delegato regionale ai fenomeni migratori, Giovanni Manoccio, lo invitò invano a venire in Calabria per scoprire un esempio virtuoso di trasparenza e onestà e «per vaccinarsi di cultura che gli manca» . Oggi tutto è cambiato da allora e Manoccio preferisce rispondere alla tracotanza del ministro snocciolando i numeri di accoglienza diffusa del suo paese: 120 migranti su 1120 abitanti di cui 57 adulti e 24 minori non accompagnati inseriti nel progetto Sprar oltre a 15 stanziali, rimasti anche al termine del progetto, e 10 stagionali che tornano in estate.

TRA GLI STANZIALI incontriamo Issiaka Tapsoba, ivoriano, sarto in una famiglia di sarti. Nel centro di accoglienza dedicato a Roberta Lanzino, cosentina uccisa dalla violenza maschile 30 anni fa, Issiaka cuce i vestiti che italiani e stranieri gli commissionano. «Il mio sogno è di aprire una bottega qui in paese dove sono benvoluto, tutti mi rispettano e c’è solidarietà reciproca. Per questo ho preferito restare al termine del progetto. Mio padre e mio nonno erano sarti ad Abidjan e mi piacerebbe esportare questa tradizione familiare qui in Calabria». Nella via principale che porta nella piazza centrale dedicata a Papàs Vincenzo Matrangolo, prete del paese ricordato per aver fondato un centro di assistenza preventiva giovanile che diede assistenza a oltre mille giovani, un cartello affisso all’ingresso di una trattoria recita: «Non serviamo pasti a i razzisti». Emilio Marchese detto don Mimì racconta: «Ho lavorato per 20 anni in Germania dagli anni ‘70 in poi, trovavo locali ‘pubblici’ dove era vietato l’ingresso ‘ai negri e agli italiani’. Nelle discoteche gli spaghettifresser, come con disprezzo ci chiamavano, li sbattevano fuori. E io mi chiedevo perché io non potevo entrare a divertirmi e un tedesco sì. Salvini, lo stesso che poco tempo fa ci chiamava tutti terroni, è venuto al sud e ha promesso tante cose ma vende solo odio e propaganda. Qui con i rifugiati abbiamo una risorsa, arrivano periodicamente, diventano miei clienti, sono benvoluti e davvero trovo inspiegabile perché tale cattiveria e rancore siano così generalizzati in Italia».

IN CALABRIA SONO ATTIVI oltre 100 progetti Sprar «che funzionano anche da un punto di vista economico, danno lavoro a giovani laureati, con buone capacità, con titoli di studio acquisiti nei paesi d’origine. E fanno bene anche culturalmente ai paesi che si ripopolano – ci spiega la ricercatrice all’Università della Calabria Checca D’Agostino – non cedono alla rassegnazione, all’oblio, alla periferizzazione. In 15 anni di sperimentazione gli Sprar calabresi sono diventati apripista per un nuovo modello d’accoglienza, di cui Riace e Acquaformosa sono i fiori agli occhiello. Grazie ad essi vengono mantenuti i servizi pubblici come scuole e uffici postali. Purtroppo già con Minniti il Viminale aveva ridotto i fondi Sprar distraendone parte a favore del controllo sociale e della repressione».

Dal 2011 ad Acquaformosa in estate si radunano attivisti, volontari e realtà antirazziste per il Festival delle Migrazioni, quest’anno dedicato alle Ong. «C’è proprio una bella atmosfera qui, in controtendenza rispetto alla cappa d’odio – ci dice Veronica Alfonsi della Ong spagnola Proactive Open Arms – Contro di noi hanno imbastito una campagna diffamatoria e ostracista senza precedenti. E hanno ottenuto quello che volevano: non avere testimoni scomodi in mare e legittimare la Libia come stato sicuro». «Dobbiamo spiegare bene il prezioso lavoro che queste organizzazioni svolgono in mare. Dobbiamo tenere aperti le menti e i porti anche con un’opera certosina di controinformazione di massa» spiega Manoccio. Il risultato è confortante: centinaia di persone da tutta Italia per dibattiti, concerti, laboratori. Dal vivo, nella piazza reale, lontana dai proclami quotidiani su Facebook di un bullo esagitato.