È stato il laboratorio della privatizzazione più selvaggia, quell’ondata di spa e multinazionali che hanno inghiottito – a cavallo tra anni ’90 e 2000 – i beni comuni. Acqua, rifiuti, il quotidiano che rende sempre. Ora la torta è finita, sono rimaste poche briciole e un conto salatissimo da pagare. Ed ecco spuntare, paradossalmente, dal cilindro l’ultima carta: cari comuni riprendetevi tutto, debiti compresi. A segnare il nuovo corso è arrivato per primo il settore della gestione dei rifiuti, quando nel Lazio intero si scorgono le nubi dell’emergenza. Latina Ambiente è la società creata nel 1999 tra il comune pontino e la società dei fratelli Colucci, originari di San Giorgio a Cremano. Vincono la gara, prendono il 49% del gestore della nettezza urbana, per poi acquistare il settore italiano del colosso Usa Waste Management. Non sono estranei alla politica. Pochi mesi dopo la firma della partnership con il comune di Latina – allora guidato dal centrodestra – finanziano con generosità Forza Italia e An. Soldi regolarmente registrati presso la tesoreria della Camera dei deputati, assolutamente legali. Oggi, dopo 15 anni di gestione che hanno portato a una raccolta differenziata di gran lunga inferiore alle quote imposte dalla legge, lasciano la barca. Rimane un bilancio in rosso, con diversi milioni di euro da riporre nei conti per evitare di dover portare i libri in tribunale. Del rapporto tra il pubblico e il privato – il leit motiv delle privatizzazioni all’italiana – rimane in piedi un duro contenzioso, mentre i cittadini di Latina si trovano oggi una tariffa dei rifiuti con aumenti a due cifre.
Ancora più paradossale è la storia di Acqualatina, società simbolo della privatizzazione dell’acqua in Italia. Nata nel 2002, ha come principale socio privato la multinazionale francese Veolia. Quando la società mista (51% in mano ai comuni, il 49% al socio privato) iniziò a gestire gli acquedotti, i cittadini scoprirono subito come erano cambiate le cose. Le bollette in alcune città videro aumenti a tre cifre, mentre chi non riusciva a pagare si ritrovava fuori casa i funzionari pronti a ridurre il flusso o a tagliare i tubi. Il manifesto ha raccontato la dura battaglia del comitato acqua pubblica di Aprilia, formato da circa 7 mila famiglie, che da ormai sette anni pagano la vecchia tariffa comunale versandola su un conto corrente dell’amministrazione. Le loro ragioni sono state riconosciute più volte dal Tribunale ordinario e amministrativo con decine di sentenze, talmente importanti da formare una giurisprudenza consolidata. Ad esempio il giudice di Latina ha ritenuto vessatoria la clausola che prevede il distacco dell’acqua per morosità, senza prima una decisione di un organo terzo. Un modo per riaffermare il principio del diritto all’acqua come un bene comune, indisponibile.
Acqualatina, davanti alle prime difficoltà economiche, ha subito indicato le proteste dei cittadini di Aprilia come la causa degli squilibri di bilancio. Come con Latina Ambiente, i problemi nei conti sono arrivati, puntuali. Lo scorso maggio i lavoratori del gestore pubblico-privato dell’acqua si sono ritrovati a dover accettare i contratti di solidarietà, mentre sul bilancio ancora pende la spada di Damocle del prestito aperto con la banca specializzata in derivati Depfa. E puntuale – come nel caso dei rifiuti – è arrivata la ciambella di salvataggio: c’è un compratore pronto a subentrare, qualora ritenessero che è il caso di lasciare il business, divenuto più «complesso» dopo l’abrogazione della remunerazione del capitale investito decisa dal referendum del 2011. Nei giorni scorsi il presidente della provincia di Latina Armando Cusani – da sempre strenuo difensore della presenza dei privati – ha lanciato la proposta: facciamo ricomprare ai comuni le azioni in mano a Veolia. In fondo si trova sempre, in una tavola di gonzi, chi paga il conto.