Si chiama «Reddito d’inclusione sociale» (Reis), lo strumento rivolto alle famiglie, e non agli individui, con il quale le Acli e la Caritas intendono contrastare la povertà assoluta che colpisce quasi cinque milioni di persone in Italia. La proposta, elaborata da un gruppo di ricerca dell’Università Cattolica di Milano, è stata presentata ieri a Roma alla presenza del ministro del lavoro Enrico Giovannini, del segretario generale della Cgil Susanna Camusso e di quello della Cisl Raffaele Bonanni.

La proposta prevede di riassorbire le misure assistenzialistiche adottate dai governi negli ultimi anni (la social card ad esempio) in un unico sistema che prevede un trasferimento monetario diretto e servizi indiretti, variabili a seconda del costo della vita. Lo stanziamento previsto è di 6 miliardi di euro per i prossimi quattro anni: 900 milioni per il primo, di 2,2 miliardi nel secondo, di 3,7 miliardi il terzo anno, per arrivare a 6,1 miliardi nell’ultimo anno.

Il bacino interessato è di 1 milione 130 mila famiglie che a Nord percepiscono un reddito mensile di 784 euro (nelle aree metropolitane, 703 nei piccoli comuni); nel centro rispettivamente 758 euro e 672; a sud 580 e 525 euro. Dei 6.062 miliardi complessivi, 4.982 potrebbero essere erogati direttamente, 1.078 miliardi attraverso i servizi. Queste risorse potrebbero arrivare dall’aumento delle accise su tabacco e alcol, dalle lotterie, dal riordino dell’Irpef, dall’imposta progressiva sul patrimonio. Il Reis così concepito è una versione familistica del reddito minimo, una misura che in Europa manca solo in Italia e in Grecia. Sarebbe rivolto ai «poveri assoluti» e non a quelli «relativi» che secondo l’Istat sono aumentati nel 2012. E non andrebbe a sostegno di chi cerca lavoro, lo ha perso o è in formazione.

Il ministro Giovannini si è assunto «l’impegno» di considerarlo ma ha detto che «ci vuole tempo». Camusso ha usato il periodo ipotetico: «Se si tornasse a parlare di solidarietà, si chiuderebbe una stagione che ha portato agli individualismi».