Si è messo contro tutti, anche Salvini che strepita in un tweet contro la sua canzone definendola: «Penosa e pietosa, come musica, come testo come immagine e come tutto». Ma lui controbatte da gentleman: «La musica è soggettiva ed è giusto che arrivino critiche ed elogi – con stoccatina finale – ma io credo che la mia canzone sia comunque una piccola opera d’arte per quanto riguarda il mio percorso».

Inutile cercare di ridurre Achille Lauro a fenomeno «trap» contemporaneo (e temporaneo), vista la capacità di surfare dalle canzoni romantiche al rap, una commistione che lui stesso definisce «samba-trap» perché territorio di confine che abbandona i toni bui tipici del genere dal quale proviene per cercare il diversivo e lo sberleffo. Rolls Royce, al netto di inutili e tediose polemiche – in serata è arrivata anche un’accusa di plagio subito smentita dalla Sony, ha una potenza dissacrante che ha sconvolto l’Ariston in una sorta di remake post-moderno del video My Way di Sid Vicious dove il bassista dei Sex Pistols, stravolgeva il classico di Sinatra My way sparando poi a un pubblico di parrucconi imbalsamati.

«IL BRANO ha dei suoi vintage, vuole essere una ’prova’ di cantautorato ma anche un tributo alla storia del rock e ai suoi miti», ci ha raccontato Lauro de Marinis, in arte si chiama come il celebre armatore e presidente del Napoli perché da bambino tutti gli chiedevano se il suo nome di battesimo fosse dovuto proprio a lui «Rolls Royce non è molto diversa da un pezzo come Amore Mi che è un misto tra samba e trap. Là ho usato una matrice rap e delle suggestioni urban usando però la metafora, nel testo, della giungla. Boss Doms, il mio produttore, aveva un brano samba e un altro con tamburi africani e percussioni e abbiamo miscelato il tutto. Qui invece avevamo il riff di Boss, il pezzo scritto da me sul tema delle star e invece di optare per una batteria rock classica, abbiamo scelto una cassa dritta mantenendo una sfumatura elettronica».

Boss Doms, giunto nel frattempo, aggiunge: «Per noi questa è fusion ma vogliamo che diventi sempre un nostro genere completamente nuovo. Ci siamo ispirati al punk rock anni ’70 però abbiamo mantenuto tanta elettronica». Inafferrabile Achille Lauro, quindi, come il viaggio spazio-temporale, tra i generi, le ispirazioni e gli stili che è la sua musica :«Voglio far capire che la mia non è soltanto musica da ragazzini e sono contento di dimostrarlo sul palco dove ha transitato anche il mio idolo di sempre, Vasco Rossi» e la sua scalata non si fermerà certo nei piccoli confini sanremesi, dopo la recente pubblicazione del libro semi-autobiografico Io sono Amleto infatti sta lavorando a una trilogia di documentari e a un nuovo album.

Achille Lauro parla al plurale continuamente, non per una forma di narcisismo malato ma per sottolineare quanto per lui sia importante il concetto di collettivo, al punto da risultare forse più politico di tanti facili qualunquismi sentiti dentro e fuori dall’Ariston nel corso dell’ultima settimana.

«AGLI INIZI della mia carriera – sottolinea – ho fatto diversi test, ho cambiato rotta e squadra due o tre volte. Mi sono assestato e ho costruito una sorta di team. Ho formato una squadra vincente ma siamo ancora in costruzione, ogni volta un tassello in più. Le canzoni che scrivo non sono mai completamente mie, ognuno mette il proprio pezzo e quello che ci mette la faccia sono io ma voglio che si sappia che non sono da solo».