«Segnalerei prima di tutto un dato tra quelli che ho letto nel Rapporto Censis-Rbm: quasi due cittadini su tre si dicono soddisfatti del sistema sanitario nazionale, percentuale che sale all’80% nel Nord, dove il Ssn è più efficiente. Questo ci indica che per gli italiani la sanità è un valore: che dobbiamo rafforzarla, rilanciarla». Per Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato – Cittadinanzattiva, «le inefficienze si possono ridurre ed eliminare investendo risorse, e non disinvestendo, per evitare che il numero delle persone che sceglie di non curarsi salga ancora di più. Dobbiamo perseguire tre valori: l’universalità, l’equità e la solidarietà della sanità pubblica».

Tra liste d’attesa sempre più lunghe, mancato rispetto dei malati cronici, costi sempre più cari sembra un’utopia.

I problemi messi in luce nel rapporto sono gli stessi che pervengono a noi dalle segnalazioni dei cittadini. Innanzitutto c’è il problema dei costi: con il paradosso che, in diversi casi, per alcune visite specialistiche o per gli esami del sangue il ticket è diventato più costoso della prestazione privata. Se vogliamo che il servizio sanitario nazionale torni a essere la prima scelta degli utenti, mettiamo mano ai ticket. Pensiamo al superticket sulla ricetta: è stato introdotto per far aumentare le entrate, ma ha provocato l’effetto opposto, spostando chi se lo poteva permettere verso il privato. La nostra proposta di abolizione ha già raccolto più di 35 mila firme.

Ma per abbassare i ticket servono le coperture.

Per eliminare il superticket servirebbero 500 milioni di euro. Basterebbe ad esempio finalizzare a questo scopo le entrate delle Asl per i servizi di intra moenia. Ancora, si potrebbe destinare una parte dei ricavi che si avranno dall’introduzione dei nuovi ticket previsti dai Lea per lo spostamento di alcune prestazioni dall’ospedaliero all’ambulatoriale. Tutte soluzioni che, caricando meno il singolo cittadino, lo spingerebbero a tornare verso il servizio pubblico, aumentando così il numero complessivo di utenti.

Per accorciare le liste di attesa cosa si potrebbe fare?

Basterebbe seguire l’esempio virtuoso delle cinque regioni che hanno già adottato strategie: una di loro, l’Emilia Romagna, ha già ottenuto buoni risultati. Toscana, Veneto, Lombardia e Piemonte ci stanno lavorando. Il dramma è che tutte le altre regioni non si sono poste neanche il problema, e scarso è anche l’impulso nazionale, da parte del ministero: ma dagli esempi positivi capisci che se c’è la volontà, nel pubblico si riesce a lavorare bene.

Sui servizi riservati ai malati cronici a che punto siamo?

Sulla carta c’è un grande piano nazionale, da poco approvato, con un accordo tra Stato e Regioni. Ma solo tre regioni lo hanno recepito e lo applicano.

Anche i farmaci costano: e spesso si preferisce quello con il «brand» al generico.

Una differenza di costo che porta a sborsare ogni anno 1 miliardo di euro in più agli italiani: si potrebbero benissimo usare i generici, se solo ci fosse una maggiore informazione. Noi ci chiediamo: ma perché su tutti questi temi di cui abbiamo parlato, si preferisce adagiarsi sulle inefficienze invece di agire per migliorare? Perché ogni anno si taglia sui finanziamenti programmati? E ricordiamo che la sanità assorbe ogni anno il 6,8% del Pil ma ne produce il 12%: è cioè un settore anche economicamente vantaggioso, se vogliamo.

Il Censis suggerisce di puntare anche sulla sanità integrativa, siete d’accordo?

Nessuna preclusione, è prevista dalle norme. Insisto però sul carattere universale, equo e solidale che dovrebbe mantenere la sanità pubblica. E, se si vuole accendere quella integrativa, ci si informi bene, si valutino a fondo costi e benefici.