Non che avesse un grosso feeling con il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni, di cui era il vice. Tant’è che a ottobre Stefano Fassina minacciò la prima volta le dimissioni «per mancanza di collegialità nel governo». Poi, a gennaio, le dimissioni arrivarono davvero, ma stavolta in polemica con Matteo Renzi, da poco segretario del Pd. Nel giorno in cui i giornali riportano un attacco molto duro di Renzi, stavolta da premier, a Letta, Fassina è al convegno «Titanic Europa». Un convegno, spiega lui, «che fa incontrare economisti e politici che fanno riferimento a partiti e aree diverse, per farli discutere su un asse programmatico condiviso, quello di un’altra Europa».

Onorevole Fassina, «un’altra Europa» è anche lo slogan della sinistra radicale. Il Pd è nel Pse.

Sì, ma al congresso del Pse ho notato una forte discontinuità rispetto all’impostazione seguita negli ultimi vent’anni. Il discorso di Martin Schulz, così critico con la Commissione europea, può costituire un punto di condivisione oltre i confini dei socialisti e democratici europee. Quanto a noi italiani, su una correzione della politica dell’eurozona si possono trovare convergenze fra parti del Pd e forze che sono fuori dalla maggioranza, come Sel.

Renzi dice: «Sapevamo che i numeri non erano quelli che raccontava Letta, ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano». Il governo Letta, di cui lei ha fatto parte, non l’ha raccontata tutta?

Sono affermazioni strumentali e infondate. Nei conti, l’unica differenza rispetto agli ultimi documenti di finanza pubblica, che sono del settembre 2013, riguarda il Pil che si è rivelato inferiore a quello previsto. Ma previsto da tanti, non solo dal governo italiano. No, guardi, Renzi oggi si trova a fare i conti con l’impossibilità di realizzare promesse fatte con disinvoltura e inconsapevolezza. E cerca un alibi.

E allora perché Letta non replica?

Credo che sia utile dire come stanno le cose. Le ricostruzioni di comodo non aiutano il paese.

Eppure anche Bersani, in campagna elettorale, accusò Monti di aver messo «la polvere sotto il tappeto».

Ma all’epoca Bersani nonintendeva che i numeri di Monti fossero bugiardi, parlava delle spese lasciate scoperte, come le missioni internazionali e la cassa in deroga. Le affermazioni di Renzi oggi hanno tutto un altro senso. E, ripeto, il governo Letta ha esplicitato tutto. Anche perché quando ha fatto la finanziaria riteneva di gestire anche il 2014. Solo il Pil è più basso di quello previsto. E lo è perché abbiamo seguito troppo le indicazioni di Bruxelles.

Oggi Renzi dice: «L’Italia non ha bisogno di fare i compiti a casa». Lo dite anche voi della sinistra Pd.

Per ora quella di Renzi è una battuta. Speriamo che seguano provvedimenti e indicazioni programmatiche chiare. La prossima settimana arriverà il jobs act. Speriamo non sia l’ennesimo intervento sulle regole del mercato del lavoro ma un sostanzioso finanziamento di investimenti, che è l’unica via per promuovere il lavoro. E speriamo che nel documento di economia e finanza e nel programma di riforme che il ministero dell’economia prepara vi sia una revisione degli obiettivi di finanza pubblica coerente con le parole pronunciate da Renzi a Bruxelles.

Il ministro Padoan ha già indicato una strada. La condivide?

Mi aspettavo una maggiore discontinuità. Invece l’insistenza sulle riforme strutturali resta per lui l’ unica via per la crescita. Non fa nessuno riferimento alla carenza di domanda aggregata, che è la vera variabile per la ripresa e il lavoro. A differenza di quello che pensa anche il viceministro Morando, la priorità dev’essere la riduzione della pressione fiscale e contributiva sui lavoratori. Concentriamo le risorse per fiscalizzare i contributi sociali a carico dei lavoratori per i redditi medio bassi. Il punto è sostenere i consumi. Ridurre al margine i costi delle imprese, che pure serve, in questa fase è meno efficace.

Ce l’ha con Enrico Morando, con cui ha avuto scontri. E che ora è al suo posto.

Io ho un altro punto di vista. Credo che oggi serva una cultura diversa rispetto al mainstream che legittimamente Morando porta avanti. Ci vuole una radicale correzione di rotta. E invece il governo, stando anche alla nota del ministero sui rilievi della Commissione, prosegue l’agenda che ha portato in tutta l’eurozona a un avvitamento fra recessione, disoccupazione e debito pubblico.

Lei come interpreta il richiamo della commissione?

È l’ennesimo tentativo di scaricare sugli altri le raccomandazioni che continua a ripetere ai paesi. La commissione dovrebbe passare all’esame le raccomandazioni degli ultimi sei anni e rendersi conto, come hanno fatto altre organizzazioni internazionali come il Fondo monetario, che la ricetta che raccomanda è dannosa per l’economia reale e per la finanza pubblica. Anzi fallimentare. Nell’eurozona, dal 2008 al 2013, il debito pubblico è aumentato di 30. E continua ad aumentare.

Intanto l’Italicum sarà approvato lunedì. Il Pd festeggia un 8 marzo senza parità di genere nelle liste?

Nonostante il veto di Berlusconi, credo che dobbiamo votare tutti l’emendamento per promuovere la parità di rappresentanza di genere. È un requisito costituzionale e un punto di identità irrinunciabile per il Pd. Chi non lo fa se ne assuma la responsabilità. Ma al senato si potranno fare anche altre correzioni.

Ma perché approvate una legge che dovrà essere rimaneggiata?

Perché oggi è politicamente importante non bloccare il treno della riforma. Ma il senato farà una valutazione di merito. Non può essere un passaggio solo formale.