Una cosa così non s’era mai vista: a Messina Renato Accorinti era andato al ballottaggio con il 24%; il suo avversario del centrosinistra, Felice Calabrò, non aveva vinto al primo turno per una trentina di voti. Se i miracoli esistono è per mettere alla prova i santi, che ieri hanno deciso di fare la grande opera (che non è il ponte), ribaltando un risultato che sembrava assodato. Accorinti ha vinto, sostenuto dalla sua lista civica, contro una corazzata di otto partiti (dal Pd all’Udc), capeggiata da uno dei signori dello Stretto, il parlamentare democratico Francantonio Genovese, l’armatore, l’albergatore, l’uomo degli enti di formazione, il nipote del democristiano Nino Gullotti, otto volte ministro, il cognato del deputato regionale Francesco Rinaldi, eletto con una valanga voti lo scorso ottobre. Questo a Messina è il centrosinistra.

Portato a braccio dai suoi sostenitori fin davanti al municipio, Accorinti ha guardato la facciata monumentale di palazzo Zanca, ricordando che qui «ho avuto difficoltà pure ad entrare e sono stato spesso cacciato come un appestato. La politica non è una cosa difficile, la politica buona è il gesto più spirituale che può fare l’essere umano. Cittadini semplici hanno battuto i poteri forti. Ora sarò il sindaco degli ultimi: dei poveri, degli anziani, dei disabili. Toglietevi l’abito di sudditi». Un cognome assonante con Corinto, il neo sindaco ha superato la prova che non riuscì a Sisifo, il fondatore della città greca: Accorinti ha portando il masso fino alla cima e senza farlo rotolare.

Un centinaio di chilometri più a sud, a Ragusa, il pentastellato Federico Piccitto dà qualche soddisfazione a Beppe Grillo, vincendo la sfida contro uno sfilacciato centrosinistra che ha fatto harakiri alleandosi al ballottaggio con il centrodestra. Piccitto partiva da uno scarno 15,6%, dieci punti in meno della sua lista; si è ritrovato con un 69,4% che sa tanto di punizione per l’insensata scelta della coalizione a guida Pd, folgorata dall’ex cuffariano Giancarlo Cosentini.

Ma la festa è tutta a Messina, attorno a quest’uomo di 59 anni, un testardo pacifista, un ambientalista della prima ora, uno che detesta la tecnologia e non possiede un telefonino ma ha coraggio da vendere: nel ’91, durante la Guerra del Golfo, andava in giro invitando i militari di leva a stracciare la cartolina di precetto. Lo processarono un anno dopo, in un’aula stracolma di studenti, che esplose in un boato quando il giudice pronunciò la sua assoluzione. Ma già nell’82 era a Comiso, in testa al corteo insieme a Pio La Torre, per dire no all’installazione dei missili americani. E quando, nello stesso periodo, a qualcuno venne in testa la sciagurata idea di costruire il ponte sullo Stretto, Accorinti indossò le sue proverbiali T-shirt «No ponte», che continua a indossare, iniziando una pacifica guerra che ha compiuto trent’anni.

Anni fa gli chiesero di candidarsi, ma non era il tempo giusto nella Messina dei notabili, nel «verminaio» descritto da Nichi Vendola durante una visita della commissione Antimafia. Ha saputo attendere e prima di provarci ha chiesto in giro cosa ne pensassero gli altri: in pochi giorni arrivarono cinquemila firme. E venerdì scorso un gruppo di emigrati messinesi che vive in Germania, ha fatto una colletta e per 1.500 euro ha comprato mezza pagina di sostegno ad Accorinti sul quotidiano locale. Del resto, la Germania è stata la sua seconda patria: dagli anni Settanta andava a Berlino a manifestare affinché si abbattesse il Muro.

Messina («una città sequestrata dal dopoguerra», aveva detto un paio di settimane fa in un’intervista al manifesto, forse si è svegliata dal lungo letargo che ha prodotto macerie fisiche e morali. Accorinti ha vinto con il 52,6%, ma si trova con soli 4 consiglieri a palazzo Zanca e un popolo a sostenerlo. Solo un anno un anno fa lì regnava il pidiellino Giuseppe Buzzanca, tramontato dietro quel misero 3% ottenuto al primo turno dal suo candidato Gianfranco Scoglio, a sua volta avversario del candidato ufficiale del Pdl.

Al miracolo dell’elezione ne dovrà seguire uno ancora più tosto: rimettere in piedi una città con 400 milioni di debiti; un’azienda dei trasporti con un buco di 72 milioni e 590 dipendenti che manovrano 16 mezzi pubblici mandati in strada con il rosso fisso.

In riserva è anche l’elettorato siciliano: nei 16 comuni chiamati ai ballottaggi ha votato il 46%, 22% in meno di due settimane fa. A Siracusa l’affluenza è stata del 35%, 32 punti in meno rispetto al primo turno. Il candidato voluto dai vertici del centrosinistra, ma non dal proprio elettorato, Giancarlo Garozzo, ha vinto con il 53% sul “dissidente” del Pdl Ezechia Paolo Reale, ma il segnale è chiaro: così non si va da nessuna parte, neanche al seggio.