Prima lo stop all’attacco militare americano, poi l’accordo tra Usa e Russia per lo smantellamento dell’arsenale chimico della Siria. Due colpi che hanno tagliato le gambe all’opposizione anti-Bashar Assad, che aveva puntato tutto sull’intervento armato degli Stati Uniti. Ora si ritrova al palo, a doversela giocare sul campo di battaglia senza l’aiuto dall’esterno che, nei desideri dei ribelli, avrebbe dovuto mettere fuori uso aeroporti e aviazione governativa, per eliminare la superiorità aerea delle forze lealiste e fermare il flusso di rifornimenti per Damasco da Iran e Iraq (quelli russi giungono in gran parte via mare al porto di Tartus).

Non sorprende perciò il secco rifiuto del generale Idriss, “capo di stato maggiore” dell’Esercito libero siriano (Els), la milizia della Coalizione Nazionale dell’opposizione (CN), dell’accordo raggiunto dal Segretario di stato Kerry e dal ministro degli esteri russo Lavrov.   Parlando da Istanbul, Idriss ha detto che l’accordo «non risolve la crisi». «Non siamo interessati a questo accordo…Non possiamo accettare questa iniziativa», ha affermato il capo militare dei ribelli, perchè servirebbe al governo di Damasco solo «a guadagnare tempo». Ben diverso il giudizio delle “Forze di opposizione per il Cambiamento (Fcp) Pacifico”, che riunisce gruppi ed organizzazioni all’interno della Siria contrarie all’attacco americano e favorevoli a una transizione politica negoziata. Le Fcp considerano l’accordo raggiunto da Usa e Russia un passo decisivo verso una soluzione mediata alla guerra civile che devasta il Paese, facendo ogni giorno decine di morti, e per evitare che le sempre più agguerrite milizie qaediste prendano il controllo della ribellione armata.

Per l’opposizione siriana che rifiuta un compromesso con Bashar Assad e intende proseguire la guerra civile, rimane al momento una sola possibilità, spiega un attivista anti-Assad che ha chiesto di rimanere anonimo: «Dimostrare che il regime non fa sul serio riguardo la rinuncia alle armi chimiche e continuare a combattere, grazie anche agli aiuti militari che ora arrivano con regolarità dagli Stati Uniti e da vari Paesi della regione». Sul piano politico la CN proverà a dare vita a quel “governo transitorio” del quale si parla da diversi mesi e che non si è mai materializzato. Per le divisioni interne alla CN – causate dalla rivalità tra il potente Consiglio nazionale siriano, dominato dai Fratelli Musulmani e sponsorizzato dal Qatar, e altre componenti islamiste di fatto agli ordini di Bandar bin Sultan, il capo dell’intelligente saudita – ma anche perchè sul terreno la CN non ha un controllo effettivo delle aree del nord Siria strappate all’autorità di Damasco. Molto più concreta appare la “gestione amministrativa” esercitata dal “Fronte al Nusra” e dallo “Stato Islamico in Iraq e nel Levante” (affiliati ad al Qaeda) che a Raqqa e in altre località hanno creato tribunali religiosi e consigli cittadini di una certa efficienza.

Venerdì sera dalla riunione  dei vertici della CN è emersa la nomina del nuovo capo del futuro “governo provvisorio”. Si tratta di Ahmad Tohmeh al-Khodr. E’ una scelta che ben rappresenta lo spostamento degli equilibri a favore dell’Arabia saudita all’interno della CN. Al Khodr, un dentista di Deir az-Zor, è un islamista molto vicino a Riyadh e prenderà il posto di Ghassan Hitto, un siriano che ha vissuto gran parte della sua vita negli Usa e che la scorsa primavera era stato scelto come premier su forte pressione del Qatar. Per al Khodr alla fine hanno dovuto votare anche i Fratelli musulmani, alleati di Doha, e un «sì» è giunto pure dalle componenti laiche minoritarie legate al gruppo della “Dichiarazione di Damasco”. Al Khodr sarà chiamato a decidere della distribuzione dei fondi che arrivano dall’Occidente e dalle petromonarchie e a nominare i cinque membri principali del Consiglio del Comando Supremo Militare, lo stato maggiore dei ribelli nel quale è incluso anche il “ministero dell’interno”. L’altro giorno 550 ufficiali dei ribelli si sono ad Antaliya, in Turchia, per nominare i comandanti delle varie brigate e unità dell’Esercito libero siriano e i 261 membri del Comitato delle Forze Rivoluzionarie. Uno sforzo organizzativo importante ma con scarsi riflessi sul campo di battaglia. Nonostante gli ingenti aiuti in armi che ora riceve dall’Occidente e dalle monarchie del Golfo, l’Els resta un fattore militare marginale. La vera insidia per le forze governative sono i qaedisti.