Saranno create «zone sicure» e «zone a tensione ridotta» in Siria. Lo prevede l’accordo firmato ieri ad Astana, in Kazakhstan, dai rappresentanti di Russia, Iran e Turchia. Si tratta di un compromesso fra tre Paesi schierati su fronti diversi – Mosca e Tehran sono con Damasco e il presidente Bashar Assad, Ankara con i “ribelli” jihadisti – e dovrebbe rafforzare il fragile cessate il fuoco raggiunto a dicembre e che sarà rilanciato a partire da domani. «Gli accordi che abbiamo ottenuto ad Astana permetteranno di consolidare lo stato della tregua esistente», ha spiegato il delegato russo Alexander Lavrentyev dicendosi «sicuro che Russia e Siria sospenderanno le operazioni dell’aviazione sopra le zone a tensione ridotta». Soddisfatto anche l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura, che ha parlato di un passo «importante, promettente e positivo». Secondo De Mistura la presenza di una delegazione di osservatori americani e giordani ha avuto un effetto benefico per le negoziazioni e ciò potrebbe favorire anche il rilancio a Ginevra, in sede Onu, delle trattative tra governo siriano e opposizione per il raggiungimento di una soluzione politica.

Il memorandum prevede lo stop a tutte le ostilità fra jihadisti e forze governative per una durata di sei mesi (e un eventuale prolungamento per altri sei mesi) e la creazione di “zone di sicurezza” dotate di check-point e punti di osservazione accanto ai confini di “zone a bassa tensione”, indicate nel documento come “zone di de-escalation”. Una doppia cintura protettiva per evitare scontri tra le parti in conflitto, garantire il movimento dei civili, l’accesso degli aiuti umanitari e per facilitare le attività economiche. L’aviazione siriana e quella russa non colpiranno in queste zone che saranno definite con precisione sulle mappe nelle prossime settimane. Le aree individuate comprendono l’intera provincia di Idlib, alcune parti delle province di Latakia, Aleppo, Hama e Homs, la zona di Ghouta a est di Damasco e parti delle province di Daraa e Quneitra, vicino al confine con la Giordania.

I punti interrogativi naturalmente sono tanti. Non è chiaro, ad esempio, se sarà garantita protezione al popolo curdo preso di mira dalla Turchia del “superpresidente” Erdogan che considera “terroristi” i guerriglieri delle Unità di Difesa del Popolo curdo (Ypg) che combattono contro l’Isis e non vuole che siano loro a liberare Raqqa, la capitale in Siria del califfato di Abu Bakr al Baghdadi. Erdogan ieri – di ritorno da Mosca, dove ha incontrato Putin – si è mostrato soddisfatto solo in parte. A suo dire le “zone sicure” consentiranno di risolvere il conflitto siriano solo al 50%. Comunque il presidente turco può dire di aver realizzato, almeno in minima parte, il suo progetto volto a smembrare la Siria, attraverso la creazione di aree indipendenti sunnite, protette da Ankara, in vista della “rimozione”, in un modo o nell’altro, di Bashar Assad.

Del memorandum il presidente russo Vladimir Putin aveva discusso con Donald Trump durante la conversazione telefonica che i due avevano avuto sulla Siria prima della riunione in Kazakhstan, ottenendo evidentemente l’appoggio della Casa Bianca. Sostegno apparso ben chiaro ieri ai jihadisti “ribelli” che non hanno gradito la benedizione di Trump al coinvolgimento dell’Iran nella chiusura dell’accordo e se ne sono andati sbattendo la porta. I jihadisti all’improvviso sono diventati difensori «della integrità del territorio siriano» e ieri hanno dichiarato «inaccettabile» ogni accordo di cessate-il-fuoco che non comprenda tutto il territorio della Siria. Ma il loro benestare non serve e in ogni caso bellicoso mondo delle sigle armate finanziate dalle petromonarchie del Golfo non è nemmeno così compatto sulla questione. Peraltro a Ghouta, a Est di Damasco, le varie formazioni armate schierate contro Damasco da giorni continuano a combattersi tra di loro. I morti sarebbero già 130 e i qaedisti di Hay’at Tahrir al Sham hanno anche eseguito la condanna a morte di un comandante militare del gruppo salafita Jaysh al Islam, finanziato e armato dall’Arabia saudita.

Positivo invece il giudizio di Damasco che ha provveduto a far conoscere subito la sua approvazione dell’accordo di Astana e la sua piena adesione alla strategia degli alleati russi. Forse nella capitale siriana non sono così felici dello smembramento, seppur temporaneo, del territorio nazionale. Tuttavia l’accordo presenta indubbi vantaggi politici per il presidente Bashar Assad che ad Astana ha ottenuto il pieno riconoscimento della situazione sul terreno, a suo chiaro vantaggio, dopo le preoccupazioni generate dall’attacco missilistico lanciato da Donald Trump il mese scorso contro una base aerea siriana in seguito ad un presunto bombardamento governativo con “armi chimiche”, mai accertato da una inchiesta indipendente, nella provincia di Idlib.