Dopo nove giorni di combattimenti che hanno provocato più di 50 morti e un centinaio di feriti in molti quartieri di Tripoli, e dopo una tregua che non è stata capace di durare ventiquattro ore, ieri in Libia è stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco. A mettere a segno il punto è stato l’inviato speciale dell’Onu nel Paese nordafricano, Ghassan Salamè, nel corso della riunione convocata con i capi delle varie fazioni che si contrappongono nella capitale. E’ stato lo stesso Salamè a confermare in serata su twitter quello che al momento non è niente più di uno spiraglio di pace. «Un accordo per il cessate il fuoco è stato raggiunto e firmato oggi (ieri, ndr) per porre fine a tutte le ostilità, proteggere i civili, salvaguardare la proprietà pubblica e privata e riaprire l’aeroporto di Mitiga», ha scritto. Ma, proprio a sottolineare la fragilità della situazione, sempre Salamè si è affrettato a spiegare come l’intesa lasci però irrisolte molte delle questioni all’origine degli scontri e non solo: l’accordo, spiega, «non punta a risolvere tutti i problemi della sicurezza della capitale della Libia: cerca un accordo quadro sul modo di iniziare ad affrontare tali questioni».

Da molti mesi ormai la crisi libica dimostra come ogni accordo, ogni presa di posizione, perfino ogni singola parola ha valore solo fino a quando non viene smentita, ma quello raggiunto ieri dall’Unsmil, la missione Onu in Libia, è pur sempre un piccolo passo in avanti, tanto più se si considera che alla proclamazione del cessate il fuoco si è arrivati dopo un’altra mattinata di intensi combattimenti concentrati soprattutto nelle strade adiacenti l’aeroporto di Tripoli e che hanno coinvolto anche centinaia di migranti rinchiusi in un centro di detenzione del governo. Almeno cinquecento di loro sono riusciti a fuggire portando con sé all’interno di sacchetti di plastica le proprie cose e sotto i colpi di fucile mitragliatore che si scambiavano le milizie.

A contrapporsi, stando a quanto riferito dal sito Alwasat che cita «fonti della sicurezza» sono state la Brigata al-Somoud guidata da Salah Badi, alleato della Settima Brigata che ha dato avvio all’assalto al Governo di accordo nazionale guidato dal premier Serraj e le Forze di sicurezza centrale sezione Abu Salim, guidata da Abdul-Ghani Al-Kikli Gnewa, sostenute dalle Forze di dissuasione speciale di Abdel Rauf Kara (la Rada). Il sito sottolinea che le due parti abbiano annunciato risultati contraddittori dei combattimenti. «Il portavoce della 7/a Brigata, Saad el Hamali, ha dichiarato che le proprie forze avanzano sull’asse dell’aeroporto e sono riuscite a impossessarsi» di un punto «ai margini» della zona «Abu Salim, quartier generale della forza di Al-Kikli». Dal canto suo il portavoce della Forza centrale di sicurezza Abu Salim, Mohannad Moammar, ha sostenuto che la milizia, assieme alla Rada, «assediano le forze della brigata al-Somoud e i loro alleati della 7/a brigata su quattro laterali della via dell’aeroporto». Nel corso dei combattimenti sono stati sparati anche colpi di mortaio, uno dei quali ha incendiato un deposito di carburante situato nei pressi dell’ambasciata Usa, chiusa da tempo.

Un appello alle milizie perché risparmino vittime civili è stato rivolto ieri dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che in collaborazione con il ministero degli Interni libico e il World food programme è riuscito a distribuire generi alimentari per una settimana nei centri di detenzione governativi per i migranti di Triq Matar e Qaser Bej Ghasheer dove si trovano detenuti 2.450 migranti e rifugiati. Sospesa invece a causa degli scontri la distribuzione di cibo nel centro di Abu Salim dove sono rinchiuse 450 persone.