«Non ha vinto Tria, hanno vinto i risparmiatori»: parola di Giuseppe Conte al termine dalla lunga riunione con le 19 associazioni dei risparmiatori, nella quale ha strappato il semaforo verde all’accordo sui rimborsi per i truffati dalle banche con solo due sigle contrarie. Un po’ ha ragione: i risparmiatori non avrebbero potuto ottenere intesa migliore salvo scontro frontale e disastroso per tutti con la Ue. Un po’ mente: ancora ieri mattina Di Maio ripeteva di non volere arbitrati, cioè di essere contrario alla linea del «doppio binario» sulla quale insisteva il ministro dell’Economia, quella che è poi di fatto passata. Ma un po’ il premier fa anche il modesto: della mediazione si è incaricato lui, al punto che nel vertice con il ministro Fraccaro e i sottosegretari all’Economia Villarosa, 5S, e Bitonci, Lega, Tria non ha quasi parlato lasciando al capo del governo il compito di smussare e convincere.

MA L’ACCORDO LO AVEVA raggiunto il ministro nella trattativa con la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager. I confini del rimborso diretto e senza arbitrato sono rimasti quelli definiti in quella trattativa: al di sotto dei 35mila euro di imponibile e dei 100mila di patrimonio mobiliare, cioè di titoli finanziari. Anche la percentuale del rimborso è la stessa: 95% agli obbligazionisti, 30% agli azionisti ed è una concessione nella quale pochi speravano, essendo l’Unione contraria a rimborsare gli azionisti. Nella fase finale della trattativa, però, il governo italiano ha ottenuto due modifiche rilevanti. Il tetto per i rimborsi doveva essere valutato in base all’Isee. E’ passato invece al reddito imponibile, personale e non di famiglia, e soprattutto è stato definito l’arbitrato per tipizzazione, cioè per grandi categorie invece che caso per caso. E’ un passaggio fondamentale per quanto riguarda i tempi del rimborso: con arbitrati individuali sarebbero diventati lunghissimi. Secondo il governo i rimborsati saranno alla fine il 90% della platea interessata. Le associazioni sono meno ottimiste. Ma se il calcolo del governo è probabilmente sovrastimato quello dei pessimisti, il 40%, è certamente molto sottostimato.

MA SE SI PUÒ DIRE che ha vinto Tria, anzi che hanno vinto Tria e Conte, non è tanto per l’essere riusciti a imporre la loro linea. E’ perché si sono confrontate nelle ultime due settimane due strategie diplomatiche opposte nei rapporti con Bruxelles. La via invocata dai 5S, cioè mantenere la norma istitutiva del Fondo per i rimborsi inserita nella legge di bilancio e bocciata dall’Europa, avrebbe significato riproporre l’approccio dell’anno scorso, quello della voce grossa, del muro contro muro, della sfida spavalda. La decisione di modificare la norma e legare a quella nuova i decreti attuativi che saranno varati nei prossimi giorni è un segnale preciso inviato alla Ue: indica che il governo italiano vuole dialogare e non metterla sul piano del braccio di ferro.

Questo almeno vorrebbero fare il premier e il ministro dell’Economia. Ieri hanno segnato un punto, importante ma non decisivo. Sarà molto più indicativo quello che uscirà fuori dalla riunione del governo, probabilmente preceduta da un vertice di maggioranza, che stasera partorirà il Def. Tria, anche in questa occasione, vuole evitare di ripetere la sceneggiata dell’anno scorso, quando Roma sparava previsioni di crescita impossibili: l’1,5%, poi passato all’1% per le pressioni europee. La realtà registrerà stasera stessa uno 0,1%, a fronte di un deficit non del 2,04% ma del 2,4%. Certo bisogna sommare gli effetti dei decreti Crescita e Sbloccacantieri ma Tria, prudente, non pensa di andare oltre un decimale di crescita per decreto. La stima di crescita dovrebbe essere dunque dello 0,3% e anche questo sarebbe un segnale preciso per Bruxelles. I partiti di maggioranza ritengono che sarebbe invece troppo pessimistico, troppo vicino alla stagnazione. Insistono per una stima tra lo 0,4 e lo 0,6%. Il segnale in questo caso sarebbe opposto.

POI C’È IL NODO della Flat Tax, il più aggrovigliatoi. Tria non la vuole nel Def perché implicherebbe dover indicare le coperture, che per ora non ci sono, e perché vorrebbe dire partire lancia in resta contro Bruxelles. Salvini insiste perché «un primo mattone sia inserito già nel Def». Ieri sera Di Maio assicurava che la «tassa piatta» ci sarà, però «con coefficiente familiare in modo da non avvantaggiare i ricchi». Insomma una Flat Tax progressiva e poco male se sembra una contraddizione in termini.
I due miliardi «congelati» nella vana speranza di rispettare le previsioni verranno recuperati con tagli ai ministeri. Ne bilancio verrà contato l’innalzamento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia della legge di bilancio 2019 ma con l’impegno preciso di evitarlo. Con quali fonti sostitutive, però, non verrà scritto.