Secondo il ministro degli esteri cinese, Wang Yi, sarebbe questione di ore: l’accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina (Comprehensive Agreement on Investment, Cai), in discussione da ormai sette anni, sarebbe finalmente vicino alla sua ufficializzazione. Nelle scorse settimane alcuni rumors proveniente da Bruxelles davano come data indicativa per la firma ufficiale fine gennaio 2021.

IL DIFFONDERSI SUI MEDIA di questa notizia, però, aveva creato qualche problema al percorso del Cai: non tutti gli stati europei, infatti, sembravano entusiasti di un accordo voluto fortemente da Francia e Germania, ma avversato da quei paese, specie dell’Europa orientale, più vicini agli Usa in funzione anti russa; analogamente dei dubbi erano stati espressi su quanto mancherebbe all’accordo, ovvero una serie di clausole sul diritto del lavoro e contro il lavoro forzato. Ma come spesso accade quando si tratta di business, i diritti dei lavoratori e i diritti umani in genere, finiscono in secondo piano.

DI CHE ACCORDO si tratterebbe? Se firmato, il Cai, aprirebbe un’era nella quale la Cina garantirebbe «reciprocità» – quanto viene chiesto a Pechino da tempo – per gli investimenti stranieri.

La Cina aprirebbe a investitori esteri alcuni settore chiave della propria economia, affacciandosi – come contropartita – su settori produttivi europei. In particolare, Pechino avrebbe fatto concessioni per quanto riguarda principalmente i servizi finanziari, di telecomunicazioni, nel comparto dei veicoli elettrici, nei servizi di trasporto aereo, negli ospedali privati, nella ricerca e sviluppo oltre ai servizi finanziari e immobiliari.

IN CAMBIO LA CINA potrà accedere a mercati ambiti, come quello delle energie rinnovabili . Sulla base di queste informazioni le aziende europee impegnate nei settori elencati avrebbero nuove opportunità di investimento in Cina; per la Cina l’accordo avrebbe invece più una valenza politica: significherebbe dimostrarsi totalmente inserita nella logica della globalizzazione (cui aspira a essere leader «responsabile») garantendo il costante interesse degli investitori europei; significherebbe – inoltre – ribadire il proprio ruolo di «paese potente» nonostante le critiche che ancora riceve per quanto riguarda il tema dei diritti umani.

CI SONO ALCUNI ASPETTI da analizzare al riguardo: il primo ha a che vedere con gli Stati uniti di Joe Biden, già impegnato a coagulare intorno agli Usa un’ampia alleanza con lo scopo di contenere il più possibile il dinamismo cinese.

In secondo luogo, non è tutto oro ciò che luccica: a fine gennaio Pechino approverà infatti una legge per controllare in modo rigoroso gli investimenti stranieri nel momento in cui dovessero mettere in discussione la sicurezza nazionale. L’accordo, alla fine, pare più politico per tutti.