Sono traguardi intermedi ma non di poco conto per Israele, impegnato in un forcing diplomatico prima della ripresa, il 29 dicembre, delle trattative per il rilancio del Jcpoa, l’accordo sul programma nucleare iraniano. Gran Bretagna e Australia da qualche giorno definiscono come organizzazioni terroristiche il movimento islamico palestinese Hamas e l’Hezbollah libanese, entrambi alleati di Tehran. E ieri Israele, rappresentato dal ministro della difesa Gantz, ha firmato a Rabat un ampio accordo di cooperazione militare, il primo con un paese arabo. Tel Aviv ha già stretti legami di intelligence con Egitto e Giordania con cui però non ha mai siglato un memorandum d’intesa militare.

L’intesa giunge a un anno dalla normalizzazione – gli Accordi di Abramo – dei rapporti tra Israele e Marocco. A giugno, comunque, un C-130 marocchino era atterrato a Tel Aviv per prendere parte a una esercitazione militare. E ad agosto il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid è stato in visita ufficiale in Marocco. Ora, dopo la stretta di mano tra Gantz e il suo omologo Abdellatif Loudiyi, i due paesi si scambieranno d’informazioni d’intelligence, svolgeranno esercitazioni e Israele venderà armi, tra cui droni, al Marocco che, certo, le userà anche nel controllo del Sahara occidentale e per negare il diritto all’indipendenza dei saharawi. Un anno fa Donald Trump, per premiare la decisione di re Mohammed VI di andare all’accordo con Israele, aveva riconosciuto il Sahara occidentale come parte del Marocco.

«Penso che i legami fra Israele e Marocco diventeranno sempre più stretti, continueranno a svilupparsi ed espandersi», ha previsto Gantz. La soddisfazione del ministro israeliano è giustificata. Dopo essere arrivato nelle acque del Golfo grazie agli accordi con Emirati e Bahrain e sulle rive del Mar Rosso grazie a quello con il Sudan, Israele adesso conquista una postazione strategica nell’Africa nord-occidentale, sempre grazie all’alleanza con quella parte di mondo arabo che si considera nemico dell’Iran. Un patto tra i paesi coinvolti che è strategico e militare ma anche diplomatico. Israele si considera alla testa dei paesi della regione mediorientale che non approvano l’intenzione di Joe Biden di riannodare il dialogo con Tehran spezzato da Trump. In questa contesa politica e diplomatica in atto, un altro punto a favore di Israele è stato il fallimento dei colloqui fra l’Iran e Rafael Grossi, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, per l’accesso più aperto ad alcuni siti nucleari iraniani per gli ispettori dell’Aiea. Un passo falso che l’Iran attribuisce a Grossi. «L’interazione dell’Aiea con l’Iran dovrebbe essere tecnica e, in quanto agenzia Onu, non dovrebbe prendere posizione», ha commentato il ministro degli esteri iraniano Hossein Amirabdollahian.

Israele, che non ha mai firmato il Trattato di non-proliferazione, e in segreto, secondo esperti internazionali, è l’unica potenza nucleare in Medio oriente, accusa Tehran di voler produrre ordigni atomici. E per questo ha già messo le mani in avanti, qualunque sia l’esito delle trattative della prossima settimana. «Anche se ci sarà un ritorno all’accordo» con l’Iran, «Israele non ne fa parte e non ne è vincolato», ha ammonito il premier israeliano Naftali Bennett. «L’errore che abbiamo commesso dopo il primo accordo nucleare nel 2015 – ha aggiunto – non si ripeterà. Manterremo la nostra libertà di azione». Con poche frasi, Bennett ha ribadito che Israele potrebbe lanciare un attacco aereo sulle centrali iraniane nonostante l’opinione contraria espressa qualche giorno fa dall’Amministrazione Usa.