Per i media israeliani l’accordo di tregua tra il governo Netanyahu e Hamas, di un ‎anno e non di cinque come si diceva qualche settimana fa, è cosa fatta e sarà messo ‎nero su bianco oggi al Cairo. Il quotidiano Haaretz ieri scriveva che la prima della ‎sei fasi dell’intesa – la calma lungo le linee tra Gaza e Israele e la riapertura del ‎valico commerciale di Kerem Shalom – sarebbe già in atto da mercoledì. Da parte ‎sua Hamas fa trapelare solo che l’intesa potrebbe essere raggiunta tra sabato e ‎domenica. Le altre fazioni palestinesi, costrette ad accettare quello che hanno ‎deciso gli islamisti, sbuffano e criticano Hamas che, affermano, In cambio di aiuti ‎umanitari e un allentamento del blocco israeliano di Gaza ha concesso troppo, a ‎cominciare dalla fine delle manifestazioni popolari della Grande Marcia del ‎Ritorno. Nell’incertezza che regna intorno alla possibile tregua, l’unica cosa sicura ‎è la rabbia del presidente dell’Anp Abu Mazen, furioso per un accordo che tende a ‎relegarlo ai margini della diplomazia.‎

Non ha avuto mezze parole per i suoi avversari Abu Mazen quando è ‎intervenuto ai lavori del Consiglio centrale dell’Olp due giorni fa a Ramallah. Ha ‎rivolto accuse pesanti all’Amministrazione Usa e ha attaccato il “piano di pace”, ‎noto come Accordo del secolo, che Trump sostiene di poter realizzare tra israeliani ‎e arabi (a scapito dei diritti dei palestinesi). Ha sparato a zero sul governo ‎Netanyahu e affermato la volontà di lottare, assieme ai palestinesi con cittadinanza ‎israeliana, contro la legge approvata dalla Knesset che definisce Israele Stato ‎nazionale degli ebrei. E Abu Mazen non ha mancato di rivolgere attacchi al ‎vetriolo anche ad Hamas che, a suo dire, ha silurato la riconciliazione con il suo ‎partito, Fatah, e ora va a un’intesa separata con Israele, senza aver ottenuto un ‎granché per Gaza. Hamas replica che proprio ‎«l’ostinazione‎» del presidente ‎dell’Anp a voler raggiungere la riconciliazione interna solo alle sue condizioni ‎finisce per dividere i palestinesi. Il movimento islamico ricorda che le misure ‎adottate dalla presidenza dell’Anp nell’ultimo anno hanno aggravato la condizione ‎umanitaria di Gaza.‎

‎ Abu Mazen nel suo discorso al Consiglio Centrale ha evitato di attaccare ‎frontalmente l’Egitto – il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel è stato ‎mercoledì a Tel Aviv e ieri a Ramallah – che pure dietro le quinte favorirebbe i ‎disegni di Trump e, incurante delle perplessità della presidenza dell’Anp, ha deciso ‎di mediare, assieme all’inviato dell’Onu Mladenov, un accordo separato tra Israele ‎e Hamas. ‎‎«Le preoccupazioni di Abu Mazen sono solo in parte comprensibili» ‎spiega al manifesto l’analista di Gaza Saud Abu Ramadan ‎«perché l’Egitto mentre ‎lavora all’accordo di tregua allo stesso tempo ha invitato al Cairo le delegazioni di ‎Fatah e delle altre formazioni palestinesi per arrivare alla riconciliazione». ‎Tuttavia un pericolo per Abu Mazen è concreto, aggiunge Abu Ramadan. ‎«È ‎chiaro che se ci sarà un accordo tra Fatah e Hamas non sarà alle condizioni dettate ‎dal presidente». A quel punto, prosegue l’analista, ‎«Abu Mazen potrebbe essere ‎costretto ad accettarlo perché rifiutandolo darebbe indirettamente luce verde a una ‎separazione netta tra la Cisgiordania sotto la sua autorità e Gaza controllata da un ‎Hamas più forte dopo l’intesa con Israele».‎

‎ I prossimi giorni o forse le prossime ore diranno se Gaza avrà a una ‎‎”cessazione delle ostilità” di lungo periodo. Per ora si dice e si scrive un po’ di ‎tutto. La tregua sarebbe di un anno e prevederebbe la costruzione di infrastrutture ‎civili a Gaza, negoziati per uno scambio di prigionieri che porti alla restituzione ‎delle salme di due soldati morti in combattimento nel 2014 e di due civili ‎israeliani trattenuti da Hamas in cambio della liberazione di prigionieri politici ‎palestinesi. L’intesa potrebbe prevedere l’introduzione di un corridoio navale, ‎sotto controllo israeliano, tra Gaza e Cipro con traffico di cargo. ‎