Il fallimento dei colloqui sul nucleare iraniano passa per Kiev. Lo ha assicurato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Rybkov. In caso di un escalation della crisi in Ucraina, la Russia – che finora ha favorito apertamente il negoziato come del resto per la crisi siriana – sarebbe pronta a mettersi di traverso per impedire una soluzione negoziale entro luglio, come stabilito dall’accordo di Ginevra del 24 novembre 2013 tra le autorità di Tehran e i paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite insieme alla Germania (P5+1).

Per questo, è immediatamente arrivata la dura presa di posizione della diplomazia degli Stati uniti. Se l’Iran riuscirà a sviluppare il suo programma nucleare, le eventuali armi sarebbero più vicine alla Russia che agli Stati uniti, ha tuonato un alto funzionario della Casa bianca. Tuttavia, nonostante la posizione di Mosca, Iran e Russia hanno concluso nei giorni scorsi un accordo preliminare per la costruzione di almeno altre due centrali nucleari a Bushehr.

Il primo round negoziale dopo la visita dell’Alto rappresentate per la politica Estera dell’Unione europea, Catherine Ashton, si è concluso ieri a Vienna (foto reuters). La vigilia dei colloqui, al via il 18 marzo, è stata funestata dalle dichiarazioni poco rassicuranti della diplomazia europea su una possibile soluzione nei tempi stabiliti. Non solo, con lo scopo di far salire la tensione alle stelle, le autorità israeliane avevano fatto sapere durante i colloqui che, Tel Aviv potrebbe considerare l’eventualità di intervenire unilateralmente in Iran. È quanto ha dichiarato il ministro della difesa Moshè Yaalon. Che questo round fosse partito in salita lo conferma la notizia secondo la quale il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif avrebbe cancellato un colloquio bilaterale previsto con Ashton.

Si tratterebbe di una protesta per gli incontri che il diplomatico europeo ha avuto con alcuni dissidenti durante la sua visita a Tehran, la scorsa settimana. A quanto pare però il ministero degli Esteri iraniano non era stato informato degli incontri.

Tuttavia, Javad Zarif ha sempre mostrato un certo ottimismo per il buon esito dei colloqui. Il nodo principale per la sigla dell’accordo riguarda il reattore ad acqua pesante di Arak. La chiusura della centrale «è fuori discussione», ha confermato il viceministro degli Esteri e numero due della squadra negoziale iraniana Abbas Araghci. 83 senatori degli Stati uniti hanno inviato una lettera al presidente Barack Obama in cui affermano che la Repubblica islamica «deve cedere Arak». È dunque «troppo presto» per mettere nero su bianco un accordo definitivo. E così i negoziatori si sono dati per questo di nuovo appuntamento a Vienna dal 7 al 9 aprile prossimi.

Con la sigla dell’accordo, l’Iran ha ottenuto il riconoscimento al diritto di arricchire l’uranio al 5%. Non solo, nei prossimi mesi, dovrebbero essere cancellate gradualmente le sanzioni internazionali che hanno messo in ginocchio l’economia iraniana. Sul buon esito dei colloqui, il presidente moderato Hassan Rohani si gioca il suo futuro politico. Un fallimento dell’intesa renderebbe impossibile la strada della distensione con la comunità internazionale e darebbe nuovo vigore alle posizioni oltranziste degli ultraconservatori.

Questo porterebbe di nuovo in auge l’ex presidente radicale Mahmud Ahmadinejad, che già gode di ampio seguito soprattutto nelle città conservatrici di Qom e Mashad. Gli ultra conservatori hanno già ottenuto le chiusure di alcuni quotidiani, hanno bloccato gli avvicendamenti ai vertici della televisione pubblica e il promesso rilascio dei leader riformisti agli arresti dal 2011.

Tuttavia, è sempre più vicina la liberazione dell’avvocato per i diritti umani, Nasrin Sotudeh, il cui rilascio è stato annunciato già da mesi. Tuttavia, per bilanciare le aperture sul nucleare e accontentare i conservatori scettici verso l’intesa, prosegue la repressione nel paese. Secondo le Nazioni unite, lo scorso anno sono state eseguite 500 condanne a morte in Iran e già oltre 176 dall’inizio dell’anno.