Passate le due ultime audizioni ieri sera, la Commissione Juncker, salvo sorprese dell’ultima ora, potrà passare la vaglio del voto dell’Europarlamento domani. Nei due giorni successivi i capi di stato e di governo dei 28 si ritrovano a Bruxelles, per un Consiglio che sulla carta è dedicato alle questioni climatiche, ma che avrà ancora al centro la crisi economica e il braccio di ferro sui bilanci e il rispetto dell’austerità da parte, soprattutto, di Italia e Francia. Anche se ieri sono venuti alcuni segnali di distensione franco-tedesca dall’incontro a Berlino tra i ministri delle finanze e dell’economia delle due principali economie della zona euro, Michel Sapin e Emmanuel Macron da un lato, Sigmar Gabriel e Wolfgang Schäuble dall’altro.

La Commissione Juncker è praticamente al completo, con l’audizione ieri sera dello slovacco Maros Sefcovic, “promosso” dai Trasporti all’Energia (con una carica di vice-presidente), con qualche malumore del gruppo dei Verdi, che avevano ottenuto delle “garanzie” che temono non veder rispettate dalla sua sostituta, la slovena Violeta Bulc, un’imprenditrice nominata da Zagabria al posto della “bocciata” Alenka Bratusek (la sola ad aver concentrato le folgori degli europarlamentari, che hanno invece ingoiato altri rospi indigesti, dal britannico Jonathan Hill, lobbista della City ai Servizi finanziari fino allo spagnolo Miguel Arias Canete, in conflitto di interessi per il suo business nel petrolio, passando per l’ungherese Tibor Navralsic, a cui è stato limitato il portafoglio e contro il quale c’è stata ieri una petizione del mondo del cinema e del teatro).

Se non ci saranno sorprese, giovedi’ e venerdi’ il Consiglio europeo dovrà anch’esso approvare, dopo il Parlamento, la composizione della Commissione Juncker, che entrerà in carica il 1° novembre. Entro quella data, sarà ancora la vecchia Commissione Barroso ad esaminare le finanziarie dei paesi membri e in particolare quelle della zona euro, Italia e Francia in testa sul banco degli accusati per non rispetto dei parametri. Ma qualche schiarita sembra profilarsi all’orizzonte. Ieri, dall’incontro a Berlino tra i ministri delle finanze e dell’economia di Francia e Germania, è venuta la notizia che a metà dicembre, al vertice bilaterale tra i due paesi, verrà pubblicato un documento comune di Parigi e Berlino che definirà “piste comuni” da proporre poi ai partner Ue. Il documento sarà redatto sulla base dello studio affidato a due economisti, il francese Jean Pisani-Ferry e il tedesco Henrik Enderlein, che dovranno definire i campi prioritari per gli investimenti. La Francia si impegna a “fare le riforme” e conferma i tagli di 50 miliardi nella spesa pubblica, mentre la Germania allarga un po’ i cordoni del dogma dello Schwarze Null (zero nero), cioè del bilancio in equilibrio. Saranno 50 miliardi di investimenti in Germania (per migliorare le infrastrutture)? Si vedrà, ma qualcosa si sta muovendo, per evitare che la Francia, la seconda economia della zona euro, venga obbligata a passare sotto le forche caudine della bocciatura del bilancio (con avvertimenti e alla fine sanzioni che questo comporta).

Il 23 e 4 ottobre, il Consiglio europeo dedicherà ampio spazio al clima, anche in previsione del summit dell’Onu che sarà ospitato a Parigi tra un anno (30 novembre-11 dicembre 2015). La Ue deve presentarsi con un progetto. Per il momento, siamo alle trattative sull’eventualità di trasferimenti all’interno della Ue di quote di emissione di CO2, dai paesi ricchi verso i più poveri (in particolare il gruppo di Visegrad, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia): si discute sul trasferimento gratuito del 10% delle quote, cioè Francia e Germania cederebbero all’asta solo il 90% del rispettivo potenziale per concedere il 10% restante ai paesi che sono più arretrati nella conversione energetica. Il tutto per poter raggiungere l’obiettivo di una riduzione del 40% di emissioni di CO2 entro il 2030 nella Ue e il 20% di rinnovabili entro il 2020. Ma la transizione energetica suscita polemiche in tutti gli stati: a cominciare dalla Francia, che ha appena rinunciato all’ecotassa. Il governo è in piena confusione sulle alternative, con la ministra dell’ecologia, Ségolène Royal, che vorrebbe tassare i camion stranieri e “salvare” quelli nazionali (per paura di proteste), decisione assolutamente contraria alle leggi europee.