Alla fine la proposta della Commissione europea passa con un voto a maggioranza, ma quella che esce dal Consiglio dei ministri degli Interni che si è tenuto ieri a Bruxelles è un’Europa profondamente in crisi che vede, forse per la prima volta in maniera così clamorosa, tutte le sue divisioni rese definitivamente ufficiali dall’incapacità dimostrata in cinque mesi nel saper arrivare a una decisione comune su come affrontare l’emergenza profughi. La determinazione dimostrata soprattutto dalla Germania l’ha avuta vinta sull’opposizione dei Paesi dell’est, che fino all’ultimo hanno cercato di bloccare il meccanismo della ricollocazione dei profughi: Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia e Romania hanno votato contro. La Polonia, fino a pochi giorni fa contraria anche lei alle quote, ha invece ceduto e votato a favore. Astenuta la Finlandia. «Avremmo preferito prendere una decisione per consenso, ma alcuni Paesi hanno fatto valere altri punti di vista. Non dubito che metteranno in atto le decisioni prese da una maggioranza molto più grande di quanto previsto dai Trattati», è stato il commento forse troppo ottimistico del presidente di turno, il lussemburghese Jean Asselborn. Il premier slovacco Robert Fico ha infatti fatto sapere subito di non avere alcuna intenzione di rispettare il voto e di voler intentare una causa contro Bruxelles. «Preferisco entrare nella procedura di infrazione piuttosto che rispettare questo diktat della maggioranza», ha dichiarato.
Il voto di ieri prevede che a partire da ottobre tutti i Paesi, anche quelli che hanno votato contro o che si sono astenuti, dovranno dividersi la quota di 120 mila profughi fissata dalla Commissione europea. Non sono più previste sanzioni per quegli Stati che dichiarano di poter accogliere, per motivi giustificati e verificabili, un numero inferiore a quello stabilito, ma avranno la possibilità di vedersi ridurre del 30% la quota prevista solo per il primo anno. Dall’Italia e dalla Grecia, i due Paesi maggiormente interessati dagli sbarchi, verranno ricollocati in tutto 66 mila profughi, mentre per quanto riguarda i 54 mila che avrebbero dovuto essere redistribuiti dall’Ungheria – possibilità rifiutata da Budapest – nei prossimi mesi il Consiglio Ue deciderà se prelevarli sempre da Italia e Grecia o da un altro Paese in difficoltà.
A nulla dunque sono valsi i tentativi messi in atto dalla presidenza lussemburghese di trovare una mediazione che mettesse finalmente d’accordo tutti. Fino al punto di rischiare di snaturare la natura stessa dell’operazione di redistribuzione dei profughi che da maggio Bruxelles cerca inutilmente di mettere in atto scontrandosi sempre con l’ostilità di Romania, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca. Tanto che ieri il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker, stanco dell’indecisione dei ministri, ha perso la pazienza: «120 mila rifugiati? Siamo ridicoli data la grandezza del problema, mi chiedo se i libanesi o i giordani capiscono quello di cui stiamo parlando», ha detto riferendosi ai due Paesi che da soli ospitano milioni di profughi siriani.
La parola passa adesso al consiglio dei capi di Stato e di governo in programma per oggi e al quale parteciperanno anche il premier italiano Renzi e quello greco Tsipras. Vertice che potrebbe essere tutt’altro che tranquillo se oltre alla Slovacchia anche altri Stati sceglieranno di non accettare la decisione presa ieri. Oltre alle quote, all’ordine del giorno ci sono anche i finanziamenti da destinare alla Turchia perché impedisca ai profughi di arrivare in Europa. Il Paese ospita più di due milioni di profughi siriani ma soprattutto è il punto di partenza di quanti vogliono arrivare in Europa. Tutte cose di cui il presidente del consiglio europeo Donald Tusk, che si è recato due volte ad Ankara negli ultimi giorni, ha parlato con il presidente Erdogan.
L’accordo sulla redistribuzione di 120 mila richiedenti asilo è «una grande violazione di tutti i sacri principi del regolamento di Dublino», ha commentato con soddisfazione il ministero degli Interni Angelino Alfano al termine del vertice. Ora l’Europa si aspetta che Italia e Grecia aprano gli hotspot, i centri di identificazione e smistamento delle persone tra richiedenti asilo e migranti economici (questi ultimi da rimpatriare), come ha ricordato ieri anche il commissario all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos. L’Italia ne ha pronti cinque ma per renderli operativi il Viminale aspettava che venisse approvata la ricollocazione dei migranti. . Concetto ribadito anche ieri da Alfano. «Gli hotspot sono centri in cui di distingue chi è migrante illegalmente da chi invece è richiedente asilo – ha detto il ministro -. Noi li attiveremo, ma chiediamo in parallelo il funzionamento dei rimpatri e della distribuzione dei profughi»