«Un’altra scadenza rispettata» esordisce il ministro Salvini, preoccupato di correggere la realtà con la sua versione dei fatti. L’intesa tra le regioni «autonomiste» e lo stato, annunciata dalla Lega per il 22 ottobre (anniversario del referendum in Lombardia e Veneto), poi slittata a Natale, slitta ancora a metà febbraio. Ma lo fa ufficialmente, con una riunione del Consiglio dei ministri che ha fissato «il calendario». Altri due mesi al governo per fare la sua proposta, in realtà la ministra leghista per gli affari regionali Stefani aveva già l’accordo con il Veneto ed era in fase avanzata con la Lombardia. Quello che manca è il via libera pieno dei 5 Stelle. L’ostilità non è mai venuta alla luce con chiarezza – anzi, Di Maio in visita in Veneto ha fatto annunci in stile leghista – ma è nascosta dietro le resistenze dei ministeri a guida grillina. Conte al termine della riunione ha glissato sul fatto che il Consiglio non ha approvato alcun atto, ma solo raggiunto un accordo sul rinvio. «Sull’autonomia c’è assoluta unanimità e pieno consenso». Quanto ai rischi di impoverimento per il sud, ha promesso che sarà lui il «garante della coesione nazionale; non sarà un percorso che arricchirà alcune regioni e ne impoverirà altre».
Come questo possa avvenire, dal momento che alla base delle richieste autonomiste c’è la volontà delle regioni del nord di trattenere una gran parte delle entrate tributarie – nella bozza preparata per il veneto addirittura i 9/10 del gettito fiscale – resta un mistero. Sul quale i prossimi due mesi di «lavoro tecnico» – che si aggiungono però ai precedenti sei della ministra Stefani – dovrebbero fare chiarezza.

La lista delle materie sulla quali le regioni chiedono autonomia è lungo, tutte quelle consentite dalla Costituzione (l’elenco è nell’articolo 117 riscritto nella riforma del Titolo V firmata centrosinistra) e cioè 23 per Veneto e Lombardia, appena un po’ meno (15) per l’Emilia Romagna che non è passata per un referendum popolare (non necessario). Oltre ad argomenti come la previdenza complementare, le grandi opere, il trasporto dell’energia, i porti e gli aeroporti, ci sono anche la scuola (gli insegnanti diventerebbero dipendenti della regione), compresa la definizione dell’offerta formativa, e la sanità a un livello ancora maggiore (verrebbero limitate le garanzie del sistema sanitario nazionale). Il percorso previsto dall’articolo 116 della Costituzione però è lungo: dopo l’intesa tra lo stato e la regione, ogni singolo accordo va trasformato in una legge rafforzata, da approvare cioè con la maggioranza assoluta dei componenti delle camere. Il Pd non è contrario all’autonomia, l’iter era anzi stato avviato durante il governo Gentiloni. L’ex sottosegretario Bressa lo ha rivendicato ieri: «Ci sono voluti mesi e adesso il governo riparte da dove eravamo arrivati noi. Speriamo facciano sul serio». L’Emilia Romagna è in seconda fila, subito dopo Veneto e Lombardia, e il presidente Bonaccini (Pd) ieri ha espresso soddisfazione: «In Consiglio dei ministri il governo ha fissato finalmente impegni e date precise, il nostro progetto di autonomia regionale rafforzata va avanti, una regione più forte e autonoma in un paese più moderno».

Addirittura entusiasta il capofila Zaia, presidente leghista del Veneto: «Mai regalo più bello, sarà probabilmente il Natale più bello della mia vita. Finalmente quella che qualcuno definiva un’utopia, un’idea folle, una cosa irrealizzabile, sta diventando realtà».

La ministra Stefani – che ha il leone di San Marco nel profilo twitter – ha detto ieri che l’autonomia «è una grande opportunità per le regioni del sud». Ma sono tutte del nord e del centro quelle in lista dopo le tre apripista: le prossime candidate sono Piemonte, Liguria e Toscana. «Mi auguro che questo percorso venga raccolto dalle regioni del sud», ha detto Salvini in conferenza stampa. E ha aggiunto di confidare in Puglia (Emiliano aveva fatto delle dichiarazioni in questo senso), Abruzzo, Molise e Basilicata: «Una volta sperimentata la virtuosità di una gestione più efficiente potranno percorrere questa strada». Con quali soldi?