Benjamin Netanyahu firmerà oggi alla Casa Bianca l’Accordo di Abramo, assieme ai rappresentanti degli Emirati arabi e del Bahrain. I testi integrali delle intese, mediate da Washington, per l’avvio di rapporti tra lo Stato ebraico e le due monarchie sunnite del Golfo non sono ancora noti. In ogni caso la normalizzazione in atto – «una coltellata alla schiena» l’hanno definita i palestinesi – porterà alla creazione di un nuovo ordine regionale in cui l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e del Golan siriano non rappresenterà più un veto alla collaborazione a tutti i livelli, anche militare e strategica, tra Tel Aviv e alcune capitali arabe. Si parla di altri annunci di normalizzazione: Oman, Sudan e, si dice, il Marocco. L’obiettivo vero per l’Amministrazione Usa però è convincere la monarchia saudita a seguire le orme di Abu Dhabi e Manama, possibilmente prima delle presidenziali di novembre.

 

Se da un lato può dirsi soddisfatto dei successi ottenuti, dall’altro Netanyahu non può affermare lo stesso nelle questioni interne israeliane. Partendo domenica sera per gli Usa, si è lasciato alle spalle l’annuncio del secondo lockdown che, a partire da venerdì e per tre settimane, paralizzerà Israele nel tentativo di contenere la diffusione del coronavirus. Così come le proteste di migliaia di cittadini che da settimane chiedono le sue dimissioni con manifestazioni davanti alla sua residenza a Gerusalemme. Nato ufficialmente per combattere la pandemia, al contrario il governo di Netanyahu potrebbe addirittura averla favorita riaprendo subito tutto il paese dopo la prima chiusura a marzo e aprile. Inoltre, aggiungono i partiti di opposizione, non ha adottato al momento giusto misure efficaci per controllare i focolai dell’infezione lasciando che la situazione degenerasse al livello attuale: migliaia di casi positivi al giorno, ospedali in grande difficoltà e sensibile aumento dei decessi. Primo paese a reintrodurre il lockdown, Israele dovrà fare i conti con le conseguenze economiche del blocco: si prevedono tra i 2 e i 5 miliardi di dollari. Rabbia tra imprenditori, commercianti e proprietari di hotel e ristoranti. Non pochi minacciano di violare la chiusura. Non si placano anche le proteste dei religiosi ebrei ultraortodossi che accusano Netanyahu di aver aspettato le festività ebraiche di inizio autunno per imporre il blocco lasciando ai laici piena libertà nei mesi estivi.