Da uno dei settori più in difficoltà occupazionale ieri è arrivato un importante segnale in controtendenza. Se tutte le compagnie telefoniche – a causa della concorrenza a tariffe stracciate di Iliad e ai troppi soldi spesi per il bando 5G – vogliono disfarsi di un 20 per cento dei lavoratori, a Vodafone si è riusciti a gestire i 1.130 esuberi annunciati dall’azienda il 12 marzo con la «contrattazione di anticipo», come rivendica la Slc Cgil. In pratica invece dei licenziamenti o dei soli ammortizzatori sociali, azienda e sindacati hanno firmato un accordo che prevede anche riqualificazione professionale e 300 assunzioni nei prossimi anni.
Intendiamoci, i problemi restano e l’accordo non è certo indolore. Ma si tratta di una novità importante perché dimostra come il costo del lavoro non debba solo essere considerato «il più facile dei tagli».
Nel concreto l’intesa – sottoscritta da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom- per i circa 6.500 dipendenti del gruppo in Italia prevede solidarietà difensiva (12 mesi prorogabili di altri 6) per 4.870 lavoratori della sola Vodafone Italia spa», mentre la mobilità incentivata e volontaria avverrà attraverso il meccanismo della non opposizione al licenziamento per 570 dipendenti «complessivamente considerati tra Vodafone Italia spa e Vodafone Gestioni spa». Il piano di assunzioni «per i prossimi tre anni di circa 300 lavoratori per lo sviluppo del 5G, nuovi servizi alle imprese e trasformazione digitale».
«Per noi questo accordo è un punto di riferimento nel settore. La vera novità è che proviamo di volta in volta ad aggiornale le professionalità rispetto all’incidenza della tecnologia sul lavoro», commenta Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil.
Il resto del settore però rimane ancora in grande difficoltà. A partire da Wind Tre che continua a voler trasferire da Roma a Milano un intero reparto con almeno 150 persone, di cui l’80 per cento donne, definito «un vero e proprio licenziamento mascherato», dai sindacati. Lo sciopero totale del 2 aprile ha mostrato la compattezza dei lavoratori. «Siamo molto lontani da una soluzione, qui l’azienda guarda solo al risparmio del giorno dopo», conclude Saccone.