Elusione-fiscale-non-più-reato

Il governo Gentiloni, per voce del ministro per l’economia Pier Carlo Padoan, è la testimonianza dell’impegno italiano nel combattere l’evasione fiscale e per far pagare le tasse alla multinazionali. Gli ha fatto eco il direttore delle Agenzie delle entrate, Rossella Orlandi, che ha indicato nell’accordo firmato ieri con Google la strada da seguire per le altre major della Rete (i nomi più noti sono Facebook e Amazon) finite sotto i riflettori della magistratura per sospetta evasione fiscale. In base all’accordo, nelle casse dell’erario finiranno oltre 300 milioni di euro, anche se la cifra certificata da Guardia di Finanza era di gran lunga superiore. Il periodo dell’«elusione fiscale» della società americana è piuttosto lungo, visto che i primi rilevamenti della guardia di finanza risalgono al 2005.

È la seconda volta che le multinazionali patteggiano per evitare di finire in tribunale. Il precedente è un analogo accordo tra Apple e l’allora governo Renzi. Secondo il fisco italiano, le imprese facevano affari in Italia ma mettevano a bilancio le entrate nelle filiali irlandese, dove gran parte delle multinazionali beneficiano di una tassazione di favore per attirare investimenti nel paese. Un sistema talmente collaudato che è entrata in campo anche l’Unione Europea, che è più volte intervenuta per denunciare lo scandalo di una generalizzata «elusione fiscale». Uno scandalo ormai inaccettabile in un continente che ha comunque fatto dell’austerity la sua stella polare nelle politiche economiche e sociali. E dove le facilitazioni fiscali per le imprese sono diventate anche esse le coordinate per orientare le politiche nazionali. Il neoliberismo può continuare ad essere la regola dominante, a patto però, ha chiosato più volte Bruxelles, se un po’ di tasse sugli enormi profitti delle multinazionali vengono pagate.

L’accordo di ieri può certo essere presentato come un successo, ma fa registrare tuttavia il rinvio della decisione europea di una legislazione fiscale condivisa da tutti i paesi dell’Unione.

Al di là dei toni trionfalistici del governo, c’è inoltre da registrare la rinnovata volontà dell’esecutivo di rendere rendere operativa la norma approvata nel 2013, ma poi sospesa, di una webtax per chi fa business in Rete. Secondo la norma le entrate dovevano servire a finanziare progetti contro la povertà, la disoccupazione e per rimpinguare i sempre più risibili fondi da destinare ai servizi sociali.

Secondo Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera nonchè uno degli autori della norma sulla webtax, il passo successivo da fare è di portare la questione in tutte le istituzioni internazionali. Su questa possibilità si è espresso proprio il ministro Padoan che ha annunciato che chiederà di far entrare nell’agenda dei lavori del prossimo G7 di Bari proprio la necessità di stabilire regole procedure per introdurre una webtax nella legislazione dei paesi più industrializzati del pianeta.