Quando Roberto Gualtieri entra nella sala dove si riuniscono i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, per un vertice destinato a prolungarsi per ore, il clima è già pesantissimo. La missione difficile, uscire dal vertice con una formula accettabile per Luigi Di Maio e i 5 Stelle, si profila come quasi impossibile.

È IL PRESIDENTE dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno a bruciare i ponti. Va giù esplicito e tassativo, non lascia aperto nessuno spiraglio, neppure formale: «L’accordo è già stato preso. Non vediamo ragione per cambiare testo». «Abbiamo raggiunto un accordo politico a giugno. La prospettiva è firmare molto presto all’inizio del 2020». Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri aveva già anticipato lo slittamento, dovuto solo alla necessità di tradurre e inoltrare i testi. Il tutto dovrebbe concludersi per febbraio. Centeno però ci tiene a evitare equivoci: la firma a inizio 2020 «non va interpretata come un rinvio».

L’esito della lunghissima discussione dovrebbe però correggere almeno le apparenze. Nonostante la conferma dell’accordo sul testo, potrebbe essere rinviata al prossimo gennaio non solo la firma ma anche la formalizzazione dello stesso. Un espediente, ma che consentirebbe ai 5 Stelle di non rompere la maggioranza nel dibattito parlamentare dell’11 dicembre in attesa del vertice di gennaio. Su un capitolo sostanziale, i cosiddetti Cacs che formalmente non fanno parte del Mes ma sono un «annesso», la partita sarebbe ancora aperta.

LA RUVIDEZZA del presidente Centeno costituiva in effetti una sorpresa solo sul piano della forma: il rituale vuole che in questi casi si incarti il vuoto in confezione di lusso e accettabile. Ma nel merito non c’era nulla di sorprendente. Il trattato non è mai stato negoziabile. Le moine di Giuseppe Conte in aula, gli impegni a rivendicare «un’ottica di pacchetto», le strizzate d’occhio a Di Maio, «il rinvio non è escluso», i toni sicuri usati con la stampa ieri, «non vedo rischi né di veto italiano né di crisi», sono teatro. Un rinvio sostanziale con riapertura della «negoziazione» non è mai stato realistico. Quanto alla firma contestuale di tutti i tre i versanti della riforma, Mes, Bilancio e Unione bancaria, peggio che andar di notte. Se il ministro Gualtieri lo avesse proposto i partner dell’Eurogruppo lo avrebbero preso per pazzo.

L’ITALIA NON HA MAI potuto ottenere più di quanto lo stesso Roberto Gualtieri avesse annunciato nell’audizione del 27 novembre in parlamento. Un finto pacchetto, consistente nell’accompagnare l’approvazione immediata del Meccanismo europeo di stabilità con una Road Map sull’Unione bancaria, tale però da fugare i timori italiani sulle richieste tedesche di diversa ponderazione dei titoli di Stato e di alleggerimento delle banche italiane (e di Bankitalia in primo luogo) dei titoli di Stato deteriorati come precondizione per l’Unione bancaria. In realtà la stessa Road Map è stata congelata, perché la Germania tiene duro su alcune posizioni in materia di depositi.

La ponderazione dei titoli di Stato è il confine insormontabile indicato anche dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli e dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che ieri, nell’audizione parlamentare, si è rimangiato tutte le critiche, durissime, rivolte alla riforma il 15 novembre scorso. Nel giro di 3 settimane, miracolo, è arrivato a conclusioni opposte. Il trattato «segna un passo nella giusta direzione» perché introduce il backstop a sostegno delle banche in sofferenza. Le modifiche «sono di portata limitata». Non c’è nessun automatismo che vincoli la richiesta di prestito all’obbligo di ristrutturare il debito. E comunque, «il nostro debito è sostenibile. Punto e punto esclamativo!».

L’INVERSIONE DI ROTTA di Visco è eloquente proprio perché clamorosa. In queste settimane il governatore di bankitalia deve aver capito come stanno le cose. Il trattato non è sostanzialmente emendabile. È prendere o lasciare e la seconda strada implica uno scontro frontale con l’Unione europea, oltre che la crisi di governo. L’incognita è se lo abbia capito Luigi Di Maio e se abbia deciso di andare avanti comunque consapevolmente o se si sia illuso di avere margini in realtà inesistenti. Ieri mattina, nel post quotidiano, il «capo politico» dei 5 Stelle era drastico: «Sul Mes siamo molto determinati. Così com’è non va bene. Bisogna rinviare». Se lo ripeterà anche oggi la crisi non sarà più solo possibile ma probabile.