Bontà sua, anche il governo si fa sentire: “Il piano industriale per Ast presentato oggi da Thyssen Krupp proprio non va”. Per forza: nello stabilimento di Terni i tedeschi progettano una riduzione di costi in tutte le aree di oltre 100 milioni l’anno, il taglio di 550 lavoratori, e la chiusura entro due anni del secondo forno. Al ministero dello sviluppo economico, ma anche a palazzo Chigi, l’hanno presa male: appena il mese scorso, in un summit chiesto dagli enti locali umbri, l’autorevole Joachim Limberg, che di mestiere fa il “Ceo Business Area Materials Services”, aveva detto: “ThyssenKrupp crede nelle potenzialità di Acciai Speciali Terni e delle consociate, e sta valutando con molta intensità tutte le soluzioni per il rilancio”. Ad ascoltarlo c’erano il braccio destro del premier Renzi, Graziano Delrio, e il viceministro Claudio De Vincenti. Entrambi, a occhio, sono stati presi per i fondelli.

Peggio di loro stanno gli operai, i tecnici e gli impiegati nel settore della siderurgia italiana, rasa al suolo dalla non politica industriale del governo, e dalla strategia degli affiliati a Federacciai di spartirsi i pochi bocconi pregiati (e a rendimento immediato) di quanto resta delle grandi acciaierie della penisola. Invece a Terni, dove comanda la multinazionale tedesca, le cose si fanno alla luce del sole: il piano industriale, quinquennale, corre verso la chiusura dell’area a caldo e con una maxi riduzione dei costi che, al solito, si abbatterà soprattutto su quelli del lavoro. “Un piano da rivedere perché manca di prospettiva – commentano ai piani alti del Mise – cioè non lascia intravedere, dopo tre anni di incertezze gestionali, quale possa essere il futuro”.

Quello immediato, visto con gli occhi dei lavoratori e dei sindacati, è sintetizzabile in una parola: sciopero. Fiom, Fim e Uilm chiamano allo stop già per l’intera giornata di oggi. Anche i cislini di Raffaele Bonanni, abitualmente più realisti del re, non vedono alternative: “Quello di ThyssenKrupp è un piano fallimentare dal punto di vista industriale – tira le somme Marco Bentivogli della Fim – ed è la fotocopia di tutti i piani presentati da tutti i grandi gruppi per ‘efficientare’ il costo del lavoro. Con ricadute sociali inaccettabili”. Per la Fiom, dopo che il segretario ternano della Cgil, Attilio Romanelli, ha bollato il piano come “irricevibile”, interviene il coordinatore nazionale della siderurgia Gianni Venturi: “Manca qualsiasi prospettiva strategica – avverte il pur ‘riformista’ dirigente sindacale dei metalmeccanici Cgil – e la ricerca dell’equilibrio tra produzione e redditività è scaricata sui soli lavoratori”.

Lunedì ci sarà un primo incontro tra azienda e sindacati. Ma certo i tedeschi non sembrano tipi malleabili, a giudicare dai dettagli di quello che definiscono “piano di azione strategico globale, in grado di ristabilire la profittabilità sostenibile dell’azienda, nonostante il difficile quadro del mercato caratterizzato da un’esistente sovracapacità”. Visti da ThyssenKrupp, i rimedi sono la fusione delle società del gruppo Ast e una nuova struttura commerciale in sinergia con quella della multinazionale; l’incremento del laminato a freddo del 30% e il decremento del laminato a caldo del 40%; il mantenimento dei volumi del forgiato, l’incremento della quota tubi del 30% e soprattutto il taglio di 550 addetti e di 100 milioni annui negli investimenti. Con un’avvertenza finale: “La chiusura del secondo forno potrebbe essere riconsiderata solo se le condizioni di mercato miglioreranno notevolmente, e tutti gli obiettivi saranno stati raggiunti”. Replica Mario Ghini della Uilm: “Qui si riduce la forza lavoro del 20% in cinque anni. Se l’azienda vuole risparmiare così, non va lontano”. Come la siderurgia italiana.