E’ senza fine l’agonia della Acciaierie di Piombino, abbandonate a se stesse sia dal padrone Jindal Steel Italy che da un governo latitante (anche) sul piano nazionale della siderurgia, da mesi evocato dal ministro leghista Giorgetti ma a tutt’oggi lettera morta. L’unica notizia accettabile dell’ennesima giornata convulsa, fra tavoli sconvocati mentre le delegazioni sindacali erano già a Roma, e ripensamenti last minute per evitare ulteriori fibrillazioni, è quella della proroga della cigs per i circa 1.500 addetti diretti dello stabilimento. Una proroga comunque legata all’approvazione della legge di bilancio sul fronte degli ammortizzatori sociali nelle aree di crisi industriale complessa. E, in definitiva, cartina di tornasole di una situazione giudicata insostenibile da lavoratori, sindacati ed enti locali.
“Se oggi possiamo dirci soddisfatti per la conferma della cassa integrazione straordinaria anche per il 2022 – spiega infatti il sindaco piombinese Ferrari al termine dell’incontro – non è così per tutto il resto. Si continua ad affrontare unicamente il tema degli ammortizzatori sociali che, seppur necessari, non rappresentano la soluzione alla crisi complessa che vive la città che, ora più che mai, ha bisogno di reali prospettive di lavoro. L’ingresso di Invitalia nella compagine sociale appare ancora lontano e ipotetico: altrettanto incerta è l’intenzione del privato di investire, tenendo in scacco un intero territorio. Tutto questo non è accettabile”.
In teoria l’incontro al Mise doveva avere al centro della discussione l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale delle Acciaierie. Ma già lo scorso fine settimana la viceministra pentastellata Alessandra Todde aveva gelato le speranze di chi si aspettava una pur minima svolta. “Prima di arrivare al closing dell’operazione, e dunque alla definizione di un piano industriale condiviso fra Jsw Steel Italy e Invitalia – aveva anticipato Todde – ci sarà un periodo di ‘due diligence’ che dovrebbe durare ancora due mesi. Un percorso che porterà alla definizione del valore del sito produttivo di Piombino, e dunque della cifra che Invitalia dovrà riconoscere a Jindal per l’ingresso nel capitale”.
Dietro le formule diplomatiche, una realtà ancora più complicata. Perché nella “due diligence”, in altre parole l’esame dei vari aspetti economici e produttivi delle Acciaierie, si sta consumando uno scontro sulle valutazioni da dare al valore dell’azienda. Con Jindal e il suo ad Marco Carrai che, secondo fonti sindacali, la sovrastimano. E questo farebbe aumentare la cifra che Invitalia dovrà mettere per entrare nel capitale sociale. Di qui l’ulteriore stallo della vertenza.
Inviperiti i sindacati, dall’Usb a Fiom Fim e Uilm, che fotografano così la giornata: “La proroga della cigs è figlia di un fitto lavoro delle organizzazioni sindacali con il ministero del lavoro e con la Regione. Quanto all’incontro di oggi, è stato prima annullato, poi confermato, e poi modificato in una ‘ristretta’ che non ha visto la presenza né della proprietà, né di Invitalia”.
Le conclusioni sono senza appello: “Per i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali il problema non è la fiducia nel ministero, quanto semmai nei confronti di un gruppo che oramai ha perso totalmente la credibilità. Quindi abbiamo richiesto che, in attesa della nuova convocazione, la task force nominata dal ministro Giorgetti lavori per individuare una alternativa al gruppo indiano, per evitare un disastro sociale nel caso in cui non si arrivasse ad una conclusione di accordo tra Jsw e Invitalia”.
Jindal, e soprattutto lo storico braccio destro di Matteo Renzi, sanno come girare la frittata: “Quelle dei sindacati sono parole offensive per un gruppo leader mondiale nella produzione dell’acciaio”. Ma dovranno scrivere lo stesso al sindaco Ferrari, pronto a ribadire: “Jsw tiene in ostaggio il futuro dei piombinesi, usandolo come merce di scambio”.