Dopo sette lunghissimi anni dalla chiusura dell’altoforno per decisione governativa (“L’azienda era in perdita…”), gli operai superstiti delle Acciaierie e l’intera Piombino non hanno alcunché da festeggiare, nemmeno in una giornata come il Primo Maggio. Per la Festa dei lavoratori e delle lavoratrici arriva in città Riccardo Cerza, segretario generale della Cisl Toscana, a una iniziativa confederale unitaria organizzata all’ingresso dello stabilimento in Largo Caduti sul lavoro, lì dove da quasi due mesi c’è il presidio permanente dei lavoratori alla portineria della fabbrica. Ma difficilmente il dirigente sindacale potrà dire qualcosa di nuovo ai 1.700 addetti diretti rimasti in forze alle Acciaierie, quasi tutti in cassa integrazione e con un indotto ormai disintegrato. Operai che anche nell’ultimo mese le hanno tentate tutte, pur di tenere aperta quella che è molto di più di una semplice vertenza.
A inizio aprile Fiom Fim e Uilm sono andati a Roma, ricevuti in Senato, portando un documento da consegnare a Mario Draghi, con le richieste e le proposte non solo del sindacato ma di tutta una città. Mentre una delegazione del sindacato di base Usb era nella capitale anche mercoledì scorso, in una delle ormai quasi quotidiane manifestazioni di lavoratori delle aziende in enorme difficoltà. Eppure nulla si sta muovendo, se si eccettua la recente delega alle crisi siderurgiche affidata dal titolare del Mise, Giancarlo Giorgetti alla viceministra pentastellata Alessandra Todde, che sul caso Piombino ha già lavorato da sottosegretaria del Mise nel secondo governo Conte.
Nell’agenda del ministro Giorgetti c’è il progetto di un piano nazionale del settore siderurgico, con l’obiettivo di salvaguardare le produzioni italiane e realizzare una filiera del comparto. Ma per arrivare all’obiettivo si prospettano tempi inconciliabili con la realtà delle Acciaierie, dove da tempo non si laminano più vergella e barre, e anche la produzione delle rotaie si è fermata. Un colpo da ko, visto che si fanno solo a Piombino, e che in ballo c’è una commessa con Rete ferroviaria italiana da circa 900 milioni di euro per una fornitura decennale. Una commessa che rischia di finire in archivio perché, da quando nel luglio 2018 la multinazionale dell’acciaio guidata dall’indiano Sajjan Jindal ha acquistato dal governo le Acciaierie in amministrazione straordinaria, gli impegni sottoscritti di riammodernare i tre laminatoi, specie quello dove si producono le pregiate rotaie da 108 metri, e realizzare un forno elettrico, sono finiti nel nulla. Un grande nulla.
Il piano industriale della Jindal South West era già stato bocciato dal secondo governo Conte, disposto a entrare nel capitale sociale tramite Invitalia ma solo a patto di dare il via agli investimenti più volte promessi. Di fronte poi all’ultima versione del piano, ad opera del vicepresidente esecutivo Marco Carrai, che in sostanza prevede che Jindal non tiri fuori un solo euro, chiedendo al tempo stesso allo Stato dai 238 ai 288 milioni, più altri cinque anni di cassa integrazione per gli addetti diretti dello stabilimento, più gli sconti sul costo dell’energia, anche il leghista Giorgetti ha riconosciuto che così non si può andare avanti.
Il sindaco piombinese Francesco Ferrari, di Fratelli d’Italia, è arrivato alle stesse conclusioni fatte negli anni scorsi da Rifondazione comunista, dall’Usb e dalle realtà di movimento della Val di Cornia, in testa Camping Cig: “La soluzione può arrivare solo da un intervento sistemico dello Stato, che tenga insieme rilancio della siderurgia come strumento strategico nazionale, potenziamento delle infrastrutture, e partenza definitiva delle opere di smantellamento e di bonifica”. Quei necessari interventi sulla gigantesca “cittadella dell’acciaio”, dove si sono accumulati da decenni gli scarti industriali delle produzioni, che già da soli assicurerebbero un impulso benefico all’occupazione, e alla tenuta economica e soprattutto sociale di una città in crisi nera da anni.
Anche il Pd, per bocca del segretario piombinese Simone De Rosas, non vede alternative: “L’ingresso dello Stato, necessario e urgente, deve essere accompagnato da un’idea chiara di sviluppo che mantenga la centralità della produzione e lavorazione dell’acciaio con modalità sostenibili per la città e per gli altri asset di sviluppo, turismo su tutti”. Ma intanto nulla si muove. E Francesca Re David, che guida la Fiom e nei giorni scorsi ha fatto visita al presidio dei lavoratori, ammonisce: “Giorgetti ci ha spiegato che il piano di Jindal non è ricevibile. Però ci deve anche dire che cosa vuol fare. E visto che ci sono ingenti risorse nel Recovery fund, è necessario un protagonismo della politica. Per ora totalmente assente”.