Steven Salaita, studioso statunitense di origini palestinesi, è stato licenziato dall’Università dell’Illinois per i suoi tweet critici verso gli attacchi israeliani a Gaza. Salaita, esperto di studi comparati tra nativi americani e palestinesi, avrebbe dovuto iniziare il suo corso lo scorso 16 agosto nell’ateneo statunitense ma ha ricevuto una lettera di rimozione dall’incarico per le sue posizioni contrarie alla guerra israeliana a Gaza.

La notizia ha contribuito a far nascere la campagna di raccolta firme per «Il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane» che ha coinvolto docenti ed esperti di Medio oriente di tutto il mondo, tra cui molti dei più grandi studiosi che si occupano della regione, tra cui Roger Owen, Ilan Pappé e Joel Beinin. Nel documento si fa riferimento a una «catastrofe umanitaria» causata da Israele nel suo «nuovo attacco militare su Gaza», definito come «il terzo e più devastante». «I governi di tutto il mondo e la stampa mainstream non riconoscono le responsabilità di Israele», prosegue la missiva. Che denuncia: «Né la violazione del diritto internazionale né la distruzione della vita dei palestinesi a Gaza finiranno con questa guerra».

I docenti criticano l’occupazione illegale della Striscia, perpetrata da Israele, che ha limitato il movimento di persone e beni dentro e fuori Gaza. Nel manifesto, si fa riferimento a tutte le sofferenze a cui sono costantemente sottoposti i palestinesi dall’occupazione di Gerusalemme Est, del Negev e della Cisgiordania, dalla costruzione di muri di difesa che rendono la vita impossibile alla popolazione, alle limitazioni alle libertà di movimento ed educazione. Secondo gli accademici, nel mirino dell’esercito israeliano ci sono anche le università palestinesi. Negli ultimi due mesi, sono state attaccate le Università al-Quds a Gerusalemme, le università arabo-americane di Jenin e Birzeit, vicino Ramallah. Si fa poi riferimento alle discriminazioni subite dagli studenti palestinesi nelle università israeliane. Gli atenei palestinesi sono spesso isolati, mentre gli accademici stranieri non possono neppure raggiungere le istituzioni educative della Striscia.

Come se non bastasse, negli ultimi giorni Israele ha rifiutato agli inviati di Amnesty International e Human Rights Watch (Hrw) di entrare nella Striscia di Gaza per condurre indagini indipendenti sui combattimenti, con mere scuse burocratiche. Le autorità israeliane si sono difese ricordando che il valico di Erez tra Israele e Gaza è chiuso e che i due think tank non sono registrati come organizzazioni che forniscono aiuti umanitari. I ricercatori di Hrw non possono entrare a Gaza attraverso il valico di Erez dal 2006, mentre i dipendenti di Amnesty sono banditi dalla Striscia dal 2012.

Durante l’anno di presidenza islamista in Egitto (2012-13), gli inviati dei think tank sono entrati a Gaza attraverso il valico di Rafah, ora prevalentemente chiuso.

Infine, le autorità israeliane hanno deciso di impedire ai giovani, impegnati nel servizio civile, di poter lavorare presso il centro di ricerca B’Tselem. Il centro si è più volte opposto, con report puntuali, agli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Ieri, B’Tselem è stato informato di essere iscritto alla lista nera delle organizzazioni in cui è vietato prestare il servizio civile. Sar Sahlom Jerbi, responsabile del servizio civile israeliano, ha giustificato la decisione dicendo che «il centro ha superato ogni misura in tempo di guerra con la sua campagna che incita contro lo stato israeliano e il suo esercito».
Hagai el-Ad, direttore di B’Tselem ha assicurato che si è trattato solo dell’ultimo passo in una campagna di intimidazione e minacce contro l’organizzazione che si è duramente opposta alla guerra contro Gaza. «Si tratta di pressioni senza precedenti negli ultimi 25 anni», ha detto Ad, citando minacce di morte e attacchi violenti contro gli impiegati del centro.