Inizia domani 18 novembre la «Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici». L’abuso di antibiotici provoca infatti lo sviluppo di batteri resistenti ai farmaci che provocano la morte ogni anno di 35 mila persone solo nell’Unione Europea. «Di queste, stima un rapporto dell’Ecdc appena pubblicato, nel 2021 circa 15 mila sono vittime  italiane» dice Evelina Tacconelli, docente all’università di Verona, consulente Oms e coordinatrice del comitato europeo per il controllo delle infezioni. Siamo quindi il Paese europeo con il più alto numero di decessi causati da infezioni resistenti, secondo solo alla Grecia in rapporto alla popolazione.

La sensibilizzazione ha dato qualche frutto: nell’ultimo decennio a livello europeo il consumo è calato del 23%. Anche in Italia: usiamo nel complesso meno antibiotici di Paesi come la Francia, dove le vittime di infezioni resistenti sono però quattro volte meno numerose. Come si spiega? «Oltre alla quantità conta anche la qualità degli antibiotici – spiega Tacconelli – perché non tutti gli antibiotici hanno la stessa probabilità di generare resistenza». L’Oms li ha classificati in tre categorie per livello di rischio. E qui nasce il caso italiano: siamo il terzo Paese europeo, dopo Bulgaria e Slovacchia, per consumo degli antibiotici considerati a rischio di resistenza: circa il 50%, mentre nella virtuosa Islanda si scende al 10%.

Il 65% delle infezioni resistenti si contraggono in ospedale, spiega Tacconelli, e secondo gli studi il 60% di esse si può prevenire. Eppure in Italia si fa poco. «La lotta alle infezioni non è corretta. Da noi non ci sono i controlli come in altri paesi, dove se non si rispettano le norme igieniche minime chiudono gli ospedali». Lo conferma la cronaca: i medici responsabili del reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale di Borgo Trenta, dove un’infezione di citrobacter tra il 2018 e il 2020 ha ucciso quattro neonati e causato danni irreversibili per sei, sono ancora al lavoro. Risultato: la probabilità di contrarre un’infezione antibiotico-resistente in un ospedale italiano è sette volte più grande che nei Paesi scandinavi.

Anche tra i medici di famiglia c’è scarsa attenzione al tema e soprattutto al sud si abusa di antibiotici. Lo ha dimostrato la pandemia che a causa delle errate prescrizioni di molti medici di base ha fatto impennare il consumo dell’antibiotico azitromicina, nonostante sia inutile contro i virus, mentre gli antivirali specifici erano sotto-utilizzati. «L’uso degli antibiotici andrebbe diminuito dell’80% nei caso delle infezioni delle alte vie respiratorie» spiega Nicola Magrini, farmacologo e direttore dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). «Molti bambini potrebbero crescere senza mai assumere antibiotici. E bisogna sfatare molti miti sulla necessità di assumere antibiotici per lunghi periodi. Per la polmonite batterica, le linee guida più aggiornate hanno abbassato la durata delle terapie da dodici a cinque giorni». «Per le infezioni ricorrenti delle vie urinarie femminili, tra le più comuni» aggiunge Tacconelli «gli studi mostrano che in molti casi basta un anti-infiammatorio, se si parla di uno-due episodi l’anno senza altri fattori di rischio».

Tacconelli e Magrini ieri hanno presentato insieme le iniziative dell’Aifa sul tema: linee guida aggiornate dirette ai professionisti, nuove traduzioni di manuali internazionali e la scritta «Antibiotici: usare meglio, usare meno» a illuminare la sede romana dell’agenzia.