Una pilota, una giornalista e una rettrice. Tre donne arrestate in poche ore raccontano il buco nero in cui sono finite le cittadine turche. Assenti dalle piazze (pochissime quelle che prendono parte alle manifestazioni pro-Erdogan, quasi nessuna nelle strade nelle ore calde della notte del 15 luglio), oggi le donne vivono l’ennesimo oblio, già concreta realtà in questi anni di islamizzazione di Stato.

Nazli Ilicak è una nota commentatrice tv, giornalista e ex parlamentare. Aysegul Sarac è rettrice dell’università Dicle di Diyarbakir, prima donna velata a raggiungere una simile posizione, già da aprile sotto inchiesta per presunta affiliazione al movimento Hizmet dell’imam Gülen. Kerime Kumas è la prima pilota donna di un jet da combattimento: la notte del golpe ha volato sopra Istanbul sul suo F16.

Tutte arrestate lunedì, sono lo specchio di una società sempre meno laica e sempre più machista che in pochi anni ha cancellato la presenza femminile da politica, mercato del lavoro, economia.

Dopotutto è difficile non ricordare le esternazioni del presidente Erdogan secondo cui l’uguaglianza di genere è una storpiatura, potenziale deriva della società e ragione delle violenze: le donne – ha detto Erdogan – sono madri ed educatrici (per cui quelle senza figli sono «incomplete, deficienti») e non sono uguali agli uomini («È contro natura»).

Altrettanto difficile immaginare che la piazza che lo acclama sia distante da simili convinzioni. La denuncia arriva da associazioni femministe e organizzazioni di donne: gli abusi sessuali e le minacce si moltiplicano con le piazze piene di sostenitori dell’Akp e squadre punitive alla caccia di traditori.

Il gruppo parlamentare delle donne dell’Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, lancia l’allarme: «La mentalità militarista e maschilista» che domina la politica turca sta causando un pericoloso ciclo di violenze , «la lotta \[al putsch\] non è stata per la democrazia, ma per il potere». «Il golpe, l’arretratezza dell’Akp, i raid jihadisti, tutti hanno come target le donne», scrive l’University Women’s Collective.

Parole che non sono campate in aria, ma che descrivono giorni di abusi sessuali e di minacce di stupri alle familiari di presunti golpisti, atti fisici e verbali che riducono la donna e il suo corpo a mero bottino di guerra.

Una china preoccupante che ha le sue radici nella profonda e repentina trasformazione della società turca: da anni il numero di femminicidi è in costante aumento (+1400% dal 2003 al 2010, 1.134 dal 2010 al 2015, con il picco di 413 proprio lo scorso anno), insieme al tasso di violenze sessuali.

Contemporaneamente a calare è il tasso di occupazione femminile e quello di partecipazione politica. La misura l’hanno data le elezioni anticipate di novembre: se la sinistra pro-kurda dell’Hdp ha ulteriormente incrementato il numero di candidate, tra le fila dell’Akp (il partito del presidente) le donne sono quasi scomparse, 69 su 550 candidati. Una presenza evanescente: nel governo c’è solo una ministra, in 43 città nessuna donna è presente nei consigli comunali.

Nel mercato del lavoro, dopo la caduta a picco post-2002 (quando l’Akp divenne forza di governo), il tasso di occupazione femminile ha cominciato a risalire dal 2008. Alla partecipazione non corrisponde però un miglioramento delle condizioni di lavoro e di carriera: le donne sono impiegate per lo più nell’educazione, la sanità e l’agricoltura; hanno salari inferiori a parità di livello e sono più soggette ad entrare nel mercato senza tutele del lavoro nero; restano lontane dai vertici di aziende pubbliche e private e sono totalmente assenti dagli alti ranghi delle forze armate.

Così si spiega il dato sconcertante pubblicato dal World Economic Forum: nel 2015 la Turchia è 130° su 140 paesi per tasso di disparità tra generi, ultima tra i paesi cosiddetti sviluppati.

«La misoginia dell’Akp non è una novità – commenta la giornalista Burcu Karakas – Ci aspettano giorni difficili. Tutto sarà più duro con questo radicamento del conservatorismo». Alle politiche governative e alle violenze tra le mura domestiche e nelle strade, si è aggiunta in questi giorni un’altra – inattesa – spada di Damocle: le rivelazioni di Wikileaks.

Tra i documenti pubblicati dal sito ci sono infatti informazioni dettagliate su milioni di cittadini turchi. A destare preoccupazione è uno speciale database “femminile”: informazioni sulle donne di 79 province su 81 sono state rese pubbliche. Numeri di telefono, indirizzi di casa, nel caso di donne membri dell’Akp anche i numeri di carte d’identità.

A cosa sia servita una simile pubblicazione resta un mistero: le uniche vittime sono cittadini e cittadine, visto che tra le mail non c’è nulla proveniente da Erdogan e dal suo entourage.