Nella seconda giornata del summit in Vaticano sulla pedofilia nella Chiesa cattolica, la parola chiave è stata «accountability», ovvero la responsabilità di «dover rendere conto», riferita soprattutto ai vescovi, di solito più propensi a coprire i preti pedofili e ad insabbiare gli scandali, che a denunciare i colpevoli.

La questione dell’obbligo della denuncia è stato sollevato dal cardinal Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay. «L’abuso sessuale di minori e persone vulnerabili non solo infrange la legge divina ed ecclesiastica, ma è anche un comportamento criminale pubblico», ha spiegato nella sua relazione, che ha aperto i lavori di ieri. «Coloro che si sono resi colpevoli di un comportamento criminale sono responsabili nei confronti dell’autorità civile», per cui, anche se «la Chiesa non è un agente dello Stato», ne «riconosce l’autorità legittima» e deve «collaborare con le autorità civili per rendere giustizia ai sopravvissuti».

DOPO I MOLTEPLICI CRIMINI che hanno investito gli Stati uniti proprio a causa delle «omissioni», «noi ci siamo impegnati a denunciare sempre» i casi di abuso, ha ribadito in conferenza stampa il cardinale Seán Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston (la diocesi dove esplose il primo scandalo mondiale di pedofilia, il «caso Spotlight», nel 2002) e presidente della Commissione per la tutela dei minori.

Ancora O’Malley, insieme a Linda Ghisoni (sottosegretario per la sezione del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, una delle poche donne ad avere un ruolo significativo in Vaticano), ha proposto di «rivedere l’attuale normativa sul segreto pontificio».

RICHIESTA IMPORTANTE, ma piuttosto generica, se non declinata in maniera più puntuale: sarebbe come limitarsi a chiedere la revisione del «segreto di Stato».

Quello dell’obbligo di denuncia alle autorità civili è un tema che non scalda i cuori della Conferenza episcopale italiana, che si è sempre schermata dietro un più liquido «obbligo morale». Anche se ieri, in un’intervista al Quotidiano Nazionale, il cardinal Bassetti (presidente della Cei), ha aperto uno spiraglio, sebbene con tanti se e molti ma: «Non escludo – ha detto al Qn – che, laddove l’accusa si riveli verosimile, si affermi un dovere di denuncia». Se ne riparlerà a maggio, quando la Cei aggiornerà le linee guida antipedofilia.

A BREVE ARRIVERANNO dalla Santa sede dei chiarimenti sui provvedimenti da applicare nei confronti dei vescovi insabbiatori, introdotti da un motu proprio del papa del 2016.

Lo ha annunciato O’Malley e lo ha confermato, nella sua relazione, il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago: un vescovo negligente va «rimosso», «anche se non vi è alcun serio errore intenzionale da parte sua».

E sempre Cupich, sull’obbligo di denuncia, ha aggiunto: «la segnalazione di un reato non dovrebbe essere ostacolata dalle regole ufficiali di segretezza o riservatezza».

Oggi, penultimo giorno di lavori dedicato al tema della «trasparenza», è attesa la relazione del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e presidente della Conferenza episcopale tedesca, che ieri ha incontrato 16 vittime di abusi del gruppo Eca global (Ending clerical abuse), organizzazione internazionale per la prevenzione e la denuncia degli gli abusi sessuali sui minori da parte di preti e religiosi cattolici riconosciuta anche dall’Onu.

Eca oggi manifesterà a piazza del Popolo, dalle ore 11, «per chiedere la fine dell’impunità e degli insabbiamenti degli abusi da parte della Chiesa».