Non si contano i brandelli di arti e carni incenerite o ancora sanguinanti sparsi un po’ ovunque, miste ai rottami e alla ferraglia carbonizzata di 16 autobus e 24 minibus. I morti sarebbero, stando alle prime stime della polizia nigeriana, almeno 71 e 124 i feriti.

Ad affollare ieri mattina il Nyanya Motor Park di Abuja, in Nigeria, erano come ogni giorno a quell’ora i pendolari dei quartieri operai che sorgono a ridosso della capitale da dove fanno la spola, da Nyana verso Abuja, orde di lavoratori che lasciano casa all’alba e vi ritornano la sera a giornata guadagnata. Un andirivieni su minibus e corriere spezzato per molti di loro tra le 6:30 e le 6.45 di lunedì mattina 14 aprile quando pare, secondo le prime ipotesi di ricostruzione dell’accaduto, una Volkswagen Golf sia stata fatta esplodere nell’area della stazione degli autobus del Nyanya Motor Park innescando una reazione a catena di esplosioni dei serbatoi di benzina dei mezzi in sosta che hanno fatto da detonatore uno dell’altro.

Il presidente Goodluck Jonathan in visita sul luogo dell’attentato ha puntato il dito contro Boko Haram, il gruppo integralista autoctono legato ad Al-Qaeda, sebbene non vi fosse stata alcuna rivendicazione da parte di nessuna formazione terroristica e fosse in corso un’indagine della polizia.

A proposito di Jonathan c’è da dire invece che a rendere più eclatante il cluster di esplosioni alla stazione degli autobus è anche il fatto che il Nyana Motor Park, circa 8 km a sud ovest dal centro di Abuja, si trova a circa quindici minuti di macchina dalla residenza del Presidente della Nigeria. Un dettaglio che amplifica la portata e la gravità di un attentato avvenuto in una periferia non molto distante dal centro di Abuja di cui ha messo a nudo la vulnerabilità come capitale federale della Nigeria, costruita nel 1980 nel centro geografico del Paese in sostituzione, nel 1991, della costiera Lagos come sede del governo di quella che oggi si presenta come la più grande economia dell’Africa e primo produttore di petrolio.

Non è la prima volta che Abuja rimane sotto il tiro di attacchi suicidi. Nel 2010 almeno 12 furono le vittime di un autobomba esplosa non distante dal luogo della cerimonia per l’Independence Day durante le celebrazioni per l’anniversario dell’indipendenza della Nigeria dalla Gran Bretagna nel 1960. Mentre nel 2011, meno di un anno dopo, un veicolo imbottito di esplosivo fu fatto esplodere davanti alla sede delle Nazioni Unite ad Abuja, distruggendo diversi piani dell’edificio e facendo più di 20 morti .Come abbiamo scritto più volte, sebbene Boko Haram in Hausa, la lingua parlata nel nord della Nigeria, significhi «l’educazione occidentale è peccato», target del gruppo non è tanto l’Occidente in sé quanto le classi dirigenti del mondo politico-finanziario della Nigeria, notoriamente tra le più corrotte del continente.

La sua importanza come minaccia destabilizzante dell’intero stato federale cresce in modo direttamente proporzionale al dilagare della corruzione tra i funzionari statali e le élite della finanza oltreché al montare del malcontento popolare, nello sconfinato Nord-Est come nella centrale Abuja e sobborghi.

A maggio 2013 il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha dichiarato lo stato di emergenza negli stati del Borno, dello Yobo e di Adamawa a seguito di una pesante operazione militare lanciata contestualmente contro Boko Haram. Un’operazione costosissima e di poco successo.

La mano armata insomma e una risposta esclusivamente militare alla minaccia del gruppo islamista che evidentemente però non basta – e anzi risulta inadeguata da sola in un’ottica a lungo termine – se non ad arrestare nemmeno ad arginare l’avanzata di Boko Haram quale espressione radicalizzata del malessere delle più ampie fasce delle popolazioni locali. Ma probabilmente utile a difendere le mire di Jonathan di un rinnovo del mandato presidenziale alle elezioni del 2015.