«Abu Mazen dove sei? Intervieni a sostegno del popolo di Gaza». Non era un simpatizzante di Hamas ma un militante di Fatah, F.H., che qualche giorno fa a Gaza si rivolgeva con rabbia al presidente palestinese esprimendo la sua delusione per la linea incerta, quasi invisibile seguita dal leader dell’Autorità nazionale palestinese dall’8 luglio ad oggi. Il quadro è ancora molto fluido, l’offensiva militare israeliana contro Gaza non è conclusa e può accadere di tutto. Su di un punto però non sembrano esserci dubbi. Tra le vittime politiche di “Margine Protettivo” c’è sicuramente Abu Mazen. Dopo aver generato entusiasmo tra i palestinesi facendosi promotore della riconciliazione tra Fatah e Hamas (avvenuta a fine aprile) e della riunificazione politica tra Gaza e Cisgiordania dopo sette anni di divisioni e contrasti laceranti, Abu Mazen ha poi avallato la repressione israeliana (centinaia di arresti e una decina di morti) seguita al sequestro, a giugno, di tre ragazzi ebrei, e infine ha balbettato quando Tel Aviv ha lanciato la sua offensiva contro la Striscia. Un atteggiamento che non è sfuggito anche alla base di Fatah dove è totale l’appoggio ai diritti dei palestinesi a Gaza.

 

Abu Mazen ha compiuto un grave errore di valutazione, giudicando la nuova guerra di Gaza come l’ennesimo scontro armato tra Israele e Hamas dal quale tenersi a distanza, per non pagarne le conseguenze. Non ha compreso che le motivazioni date dal movimento islamico riflettevano quelle di tutti i palestinesi di Gaza, stanchi di vivere come prigionieri nella loro terra e decisi a rompere il blocco israeliano che soffoca la Striscia. Non ha capito che dietro quelle motivazioni si erano schierati anche quei palestinesi della Cisgiordania, oltre che di Gaza, che non appoggiano Hamas. Abu Mazen, sin dal rapimento dei tre studenti ebrei, ha cercato quasi esclusivamente di tutelare i rapporti con Usa e Europa senza rendersi conto che stava compromettendo quelli con la sua gente. Le forze di sicurezza dell’Anp non poche volte sono intervenute per “contenere” le proteste troppo accese organizzate nelle città “autonome” della Cisgiordania in risposta al pugno di ferro di Israele, aggiungendo danno al danno.

 

Assente, inefficace, inconsistente. Sono i termini più soft usati da tanti palestinesi per descrivere la politica scelta dai vertici dell’Anp. Abu Mazen ha avuto modo di cambiare rotta, almeno in parte. Dopo l’inopportuna pronta adesione alla proposta presentata dall’Egitto – cessate il fuoco incondizionato come vuole Israele , senza accoglimento garantito delle richieste dei palestinesi di Gaza –, il presidente dell’Anp ha portato avanti un tour diplomatico velleitario, terminato senza risultati. Poi, spinto dalla pressione della base di Fatah e dall’umore popolare in Cisgiordania, ha dato il via libera alla formazione della delegazione unitaria palestinese, alla quale si è unito anche Hamas, per condurre con una sola voce i negoziati (indiretti) con Israele attraverso la mediazione egiziana. Troppo tardi e troppo poco. Abu Mazen in questi giorni continua a mantenere inspiegabilmente un profilo basso mentre il suo ruolo di presidente di tutti i palestinesi dovrebbe portarlo a reclamare con forza, sfruttando anche i suoi buoni rapporti con Usa e Europa, la realizzazione delle aspirazioni del popolo di Gaza. Perchè quello in corso a Gaza non è solo, come forse continua a pensare il leader dell’Anp, uno scontro tra le forze armate israeliane e l’ala militare di un movimento politico, Hamas. In questi giorni si sta decidendo il futuro di Gaza.