Un mancato accordo con i Palestinesi è una minaccia per Israele maggiore del programma nucleare iraniano. Sono considerazioni di Yuval Diskin, ex capo del servizio di sicurezza interno di Israele (Shin Bet), riportate ieri dai media locali nel giorno dell’ennesima navetta diplomatica del segretario di stato Usa John Kerry tra il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu. Diskin ha criticato apertamente Netanyahu e chiesto la formazione di una coalizione di governo formata da partiti favorevoli all’accordo con i palestinesi.

Ieri però non sono riecheggiate queste parole ma quelle vuote che ascoltiamo tutte le volte che è in corso l’ennesima inutile trattativa. Israele è pronto a «una storica pace con i palestinesi, basata su Due Stati per due Popoli», ha fatto sapere Netanyahu. «La sicurezza di Israele è in cima alla nostra agenda», ha detto da parte sua John Kerry confermando che la sua missione punta non a sbloccare il nodo israelo-palestinese ma più di tutto a rassicurare Netanyahu dopo l’intesa sul nucleare raggiunta a Ginevra dalle potenze occidentali e l’Iran. Washington farà «ogni cosa in suo potere per fermare i progetti atomici militari dell’Iran…Ci consulteremo con i nostri amici israeliani per raggiungere un accordo che passi l’esame di tutti», ha garantito Kerry. E per confermare che questa è una missione «security oriented» ha anche presentato a israeliani e palestinesi un piano con i dispositivi di sicurezza nell’ambito di un eventuale accordo sulla Cisgiordania. Piano seccamente rifiutato dai palestinesi. «Abbiamo respinto la proposta di Kerry perché porterebbe solo a prolungare e mantenere l’occupazione israeliana delle nostre terre», ha spiegato un funzionario palestinese all’agenzia Reuters.

Non sono noti tutti i punti del piano di sicurezza di Kerry. Tuttavia se ha incontrato la netta opposizione palestinese deve contenere non poche delle condizioni poste dal governo Netanyahu al tavolo delle trattative. Si è saputo, ad esempio, che Israele chiede di annettersi una porzione molto ampia della Cisgiordania e di conservare postazioni militari nei territori palestinesi che occupa da 46 anni. Uno dei nodi principali è la Valle del Giordano che Israele non intende restituire. Lo ha ribadito il vice ministro della difesa Danny Danon che esclude «compromessi». «Gli americani propongono il controllo congiunto sui valichi (di frontiera)», ha detto ieri Danon a Galei Tzahal, la radio militare. «Dal punto di vista israeliano non ci sarà alcuna presenza palestinese ai valichi…una presenza civile e militare israeliana nella Valle del Giordano è essenziale». Israele ripete che manterrà una presenza militare nella Valle del Giordano e lungo il confine con la Giordania. E il quotidiano Maariv ha scritto che gli Usa pensano (ancora una volta) ad «accordi transitori».

E’ evidente che l’idea di Netanyahu era e resta quella della nascita di uno Stato palestinese senza sovranità, senza controllo delle sue frontiere e del suo spazio aereo, in ciò che resterà della Cisgiordania quando saranno realizzati i massicci piani di colonizzazione israeliana in corso e futuri. Nei cantieri aperti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est il lavoro è incessante. A Mazraa al-Qibliya, 50 km da Gerusalemme, è partito l’ultimo degli innumerevoli piani edilizi approvati dal governo israeliano nel 2013. Presso questo villaggio è prevista la costruzione delle prime 255 di 800 case per i coloni di Nahlei Tal. Intato 36 Ong – tra cui Oxfam, Amnesty e Human Rights Watch – chiedono in un comunicato che Israele smetta di demolire case palestinesi: «Dalla ripresa del processo di pace nel mese di luglio Israele ha distrutto 207 case e proprietà palestinesi nella Cisgiordania occupata, sfollando 311 palestinesi, oltre la metà dei quali sono bambini».