Ci risiamo. Dopo l’annuncio dello scorso luglio, è arrivata in commissione Sanità del consiglio regionale dell’Abruzzo la proposta di legge firmata da tre esponenti (tutti uomini) di Fratelli d’Italia sull’istituzione di un «cimitero dei bambini mai nati» in cui dare sepoltura ai feti di età gestionale inferiore alle 28 settimane, a prescindere dalla volontà della mamma o dei genitori.

Già un anno fa, a Pescara, il consiglio comunale approvò una mozione «green» sulla stessa materia, decidendo di piantare un albero per ogni feto abortito, tra le proteste delle associazioni e di alcune forze della sinistra (non Pd e Articolo Uno, che votarono a favore della proposta avanzata sempre da Fratelli d’Italia).

Adesso la battaglia è contro quello che appare come uno sfregio alla Legge 194 e al diritto alla libertà delle donne sulla propria maternità. Da un punto di visa formale, la proposta riguarda un cambio del regolamento sulle pratiche cimiteriali e la polizia mortuaria, andando a scavalcare addirittura la norma che in Italia regola la questione: un regio decreto del 9 luglio 1939 che impone ai «parenti o chi per essi» di presentare «domanda di seppellimento» per i feti di presunta età gestativa compresa tra le 20 e le 28 settimane complete. Nel caso abruzzese si va oltre la legge varata dal governo fascista e non si prevede neppure che si debba fare domande: semplicemente, «ad ogni aborto», della sepoltura se ne occuperanno le autorità sanitarie.

«Il progresso e l’evoluzione del contesto normativo – attacca Maria Franca D’Agostino, presidente della commissione Pari Opportunità della Regione Abruzzo – devono introdurre tutele, ma soprattutto rispetto dell’individuo nella sua interessa, sia nel corpo sia nello spirito. Ogni donna che si trovi di fronte all’esperienza dell’aborto deve essere tutelata. L’individuo nel compimento delle sue scelte non deve essere soverchiato dalle istituzioni: la politica deve tenere per mano il cittadino, non spingerlo da una parte o dall’altra».

In consiglio regionale, le opposizioni all’amministrazione di Marco Marsilio (Fdi) vanno all’attacco, anche se, pallottoliere alla mano, i numeri per bloccare la legge non ci sono. «I proponenti intendono passare alla storia come i peggiori legislatori di tutti i tempi – dice la capogruppo del M5s Sara Marcozzi –, purtroppo questo è il modus operandi della destra, che continua a portare l’Abruzzo indietro, a navigare in direzione contraria rispetto alla storia e alle conquiste civili ottenute negli ultimi decenni».

Fuori dal Palazzo, l’Abruzzo si mobilita: dopo un primo sit-in organizzato la settimana scorsa dal collettivo Zona Fucsia di Pescara, la Cgil ha chiesto un’audizione al consiglio regionale, mentre si moltiplicano le voci di nuove discese in piazza per protestare contro una legge ritenuta offensiva e che, in ogni caso, è solo la punta dell’iceberg di un clima già da tempo pesantissimo. Sempre a Pescara, la scorsa primavera, il consiglio comunale ha approvato una mozione con cui si è deciso di stanziare incentivi economici per le donne che scelgono di non abortire. Il tutto mentre sul territorio regionale l’obiezione di coscienza tra i medici è all’80% e all’ospedale di Sant’Omero, in provincia di Teramo, è scoppiato il caso dell’epidurale «sconsigliata» alle partorienti, in un trend che prosegue anche nelle Marche – stessa situazione anche ad Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto e Fermo –, con molte mamme che si trovano costrette a dover salire fino ad Ancona.