«L’irretroattività del decreto sicurezza ci fa respirare – dice la giudice Silvia Albano – ma dobbiamo capire il da farsi». Per questo, martedì scorso si è svolto a Roma, nell’aula Occorsio del tribunale di piazzale Clodio, un incontro organizzato dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e da Magistratura democratica (Md). Dal lato dei giudici, come da quello generalmente occupato da pubblico ministero, legali della difesa e imputati, si sono seduti magistrati, avvocati e docenti di diritto. Sopra le teste il cartello: «La legge è uguale per tutti». Al centro del dibattimento un unico imputato: l’annullamento della protezione per motivi umanitari stabilito dal «decreto Salvini», poi trasformato in legge.

«QUESTA MISURA ha sollevato profili di discutibilità e preoccupazione – afferma l’avvocato Salvatore Fachile (Asgi) – ma bisogna capire come interpretarla. Poche righe non cambiano un quadro normativo complesso che viene da una lunga tradizione democratica». Il ragionamento si snoda tra l’articolo 10 della Costituzione sul diritto d’asilo e riferimenti ai trattati internazionali che regolano la materia. Dietro i tecnicismi rimane un concetto semplice: il permesso di soggiorno per motivi umanitari era lo strumento di un diritto alla protezione che radicato nelle fonti primarie. Meglio, la protezione umanitaria dava piena attuazione al dettato costituzionale garantendo la possibilità di coprire situazioni che non rientrano nella definizione di rifugiato o titolare di protezione sussidiaria. «Non si può abrogare completamente una normativa che dà attuazione a un diritto fondamentale», spiega la giudice Albano.

CONTINUARE A TUTELARLO, dunque, rimane una necessità. Ma attraverso quali strade? Una possibilità sembra quella dell’attuazione diretta dell’articolo 10 della Carta costituzionale sul «diritto dello straniero all’asilo nel territorio della Repubblica» nei casi in cui gli sia impedito «nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche». Altra possibilità, caldeggiata dal professore di istituzioni di diritto pubblico Marco Benvenuti, sarebbe quella di intendere in senso estensivo i concetti di persecuzione e danno grave previsti dalla sussidiaria e quelli di calamità e protezione speciali che il decreto Salvini introduce in senso residuale al posto dell’umanitaria. In quest’ultimo caso, però, resterebbero tutte le limitazioni connesse a questo tipo di permessi di soggiorno, soprattutto rispetto alla durata (tra 6 mesi e 1 anno) e all’impossibilità di conversione in permessi di lavoro.

ALLA LUNGA la situazione delineata dal provvedimento potrebbe causare una paradossale eterogenesi dei fini se a fronte dell’impossibilità di riconoscere la protezione umanitaria venissero concessi in misura maggiore asilo politico e sussidiaria. Nei paesi in cui non esiste il permesso umanitario le percentuali di ottenimento delle altre due protezioni sono più alte che in Italia.