La battaglia per l’autodeterminazione femminile è ancora lunga in America latina. Anche in alcuni paesi che scommettono sul «socialismo del XXI secolo«. Ieri, il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha addirittura minacciato di dimettersi se i deputati della sua maggioranza tenteranno di far depenalizzare l’aborto. «Se un gruppo di persone molto sleali raggiungono domani una maggioranza fra gli eletti della coalizione al potere Alianza Pais per legalizzare l’aborto – ha detto in televisione – io, immediatamente, presento le dimissioni».

Il parlamento monocamerale sta discutendo una riforma del codice penale che prevede l’introduzione di altri reati come quello di femminicidio o l’abbassamento del massimo della pena a quarant’anni. Alcuni esponenti di Alianza Paiz, raccogliendo l’invito delle organizzazioni femministe, hanno proposto di depenalizzare l’aborto almeno in caso di violenza sessuale. «Facciano come vogliono, ma io non l’autorizzerò mai», ha invece dichiarato Correa, rieletto lo scorso febbraio fino al 2017. Durante un’infuocata seduta parlamentare, alcune femministe hanno protestato denudandosi in aula e hanno gridato le proprie rivendicazioni. Molte, dai banchi parlamentari, hanno applaudito. «In Ecuador ogni 13 minuti si pratica un aborto, penalizzarlo significa obbligare le donne a ricorrere a luoghi clandestini», ha detto la deputata di maggioranza Betty Carrillo. «Punire l’aborto vuol dire punire la povertà», ha aggiunto la sua collega Rita Pozo. Sulla stessa linea, anche diversi uomini. La discussione parlamentare dovrebbe concludersi domani in Ecuador.

L’articolo 149 consente l’interruzione di gravidanza solo nel caso di violenza su una donna con handicap. La costituzione del paese, pur molto avanzata sul piano dei diritti umani e della natura, finisce però per intrappolare la libertà femminile quando sostiene di «difendere la vita fin dal suo concepimento». Correa – un economista cattolico di scuola europea – si definisce progressista e di sinistra, in economia e nelle questioni sociali, ma contrario all’aborto e al matrimonio di persone dello stesso sesso «perché cattolico praticante».

In questo, il presidente interpreta però un senso comune ancora prevalente nella società ecuadoriana, e condiviso in buona parte dell’America latina. Anche il suo omologo boliviano Evo Morales ha definito di recente l’interruzione di gravidanza «un omicidio». In Bolivia, il Tribunale costituzionale ha in esame da diversi mesi una domanda per depenalizzare l’aborto, ma il dibattito su questo tema sta ancora attraversando la società boliviana. In Venezuela, le femministe tentano da anni di far passare una legge che depenalizzi totalmente l’aborto. In America latina i cattolici sono 425 milioni.

E nella cosmovisione indigena, nella «filosofia del vivir bien» la donna «è rispettata perché rappresenta la Pachamama», ossia «la Madre terra che possiede la vita e accudisce tutti i suoi frutti». Secondo studi presentati dai collettivi femministi boliviani, ogni anno abortiscono clandestinamente tra 40 e 80 mila donne. Cile, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Haiti, Surinam e Repubblica Dominicana sono i paesi della regione nei quali l’aborto è punito in tutti i casi. A Cuba, in Uruguay e nel distretto federale del Messico, è libero e gratuito. Nel resto del continente, l’interruzione di gravidanza è depenalizzata solo in determinate circostanze.