Lungi dall’essere una mera pratica burocratica, l’ottava presentazione in 14 anni del progetto di legge per legalizzare l’aborto in Argentina è stata accompagnata in tutto il paese da una marea verde che nella capitale ha inondato le vicinanze e l’interno del Congresso nazionale.

LA «CAMPAGNA NAZIONALE per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito», attraverso alcune deputate, ha riproposto il progetto che sostiene sin dalle sue origini, nonostante la composizione del parlamento non sia cambiata dall’anno passato, quando il no del Senato bloccò la legge. Stesso testo e stessa composizione parlamentare, dunque, ma con la vigenza del progetto estesa fino al prossimo anno, quando i seggi saranno già occupati dai deputati e dai senatori eletti nelle elezioni del prossimo ottobre.

 

La deputata argentina Victoria Donda Pérez (foto di Gianluigi Gurgigno)

 

Come nel 2018, prima firmataria della proposta di legge per l’«Interruzione volontaria di gravidanza» è la deputata Victoria Donda Pérez, figlia di José Donda e María Pérez, entrambi desaparecidos. Eletta una prima volta nel 2007 nelle file del Movimiento Libres del Sur, l’anno scorso ha fondato il partito Somos e ora è in corsa per la carica di governatrice di Buenos Aires. Sarebbe la prima donna a ricoprirla, così come è stata la prima figlia di desparecidos a sedere in parlamento (è nata all’interno dell’ex Esma, il «Centro clandestino di detenzione, tortura e sterminio» dal 1976 al 1983).

MENTRE GLI ALTRI CANDIDATI progressisti alle prossime elezioni pensano che sarebbe opportuno posticipare il dibattito sull’aborto al fine di generare consensi per superare la destra di Mauricio Macri al governo, Donda la pensa diversamente: «Come donne continueremmo a essere esposte alla clandestinità: il progetto deve essere trattato con urgenza e la legge deve essere approvata adesso».

Pochi minuti prima di incontarci, la deputata ha ricevuto i genitori di Lucía, la sedicenne che nel 2016 fu drogata, abusata e uccisa da due uomini. La propria storia personale ha avvicinato Donda Pérez alle rivendicazioni del femminismo e dei diritti umani. «Quando ero piccola una mia amica ha abortito clandestinamente. L’aborto le venne praticato con un bastone di vimini che le provocò un’infezione, e finì con l’utero perforato. Poi invece altre donne a me vicine hanno potuto pagare e allora sì, hanno abortito in dieci minuti. È una differenza di classe ma, tanto in una clinica come in una buia stanza di quartiere, c’è un comune denominatore: il peso della clandestinità, il sentirti una delinquente». Donda sottolinea che «la destra vuole la staticità dei ruoli tradizionali in cui noi donne continuiamo a essere riproduttrici di forza lavoro. Una legge per l’aborto legale ci può liberare in parte da questa subordinazione».

 

foto di Gianluigi Gurgigno

 

DAVANTI AL CONGRESSO Ana Clara ha deciso di trascorrere lì il pomeriggio del suo 34mo compleanno, per seguire da vicino la presentazione del progetto di legge. «Tutti abbiamo qualche amica o una familiare che c’è passata. Nel mio caso è stato in una clinica clandestina» dice, e continua parlando del «tabù, la paura e la persecuzione». Flavia la accompagna e commenta: «Una cugina di mio padre è stata violentata dal nonno ed è morta in seguito all’aborto clandestino. Nessuno ha detto niente per paura dei commenti, è terribile rendersene conto. Per questo siamo qui, a partorire una legge, perché siamo la voce di quelle che non ci sono più».

«Io a 15 anni ho abortito illegalmente con pastiglie – interrompe Milagro, sciogliendo il nodo che aveva in gola – e l’aiuto di mia mamma perché non volevo tenere quel bambino. Sono finita in ospedale per un’infezione. Mia mamma mi disse “Milagro per favore non dire niente altrimenti vado in galera”. Oggi sono qui con mia figlia Isa, che insieme al padre abbiamo deciso di avere. È stata la decisione migliore della mia vita». Flavia si allontana dai discorsi moralizzatori e sottolinea che lei «sapeva quello che faceva», ma per scelta o fallibilità dei metodi di cura «sono cose che succedono». Di fronte a tutto questo, il desiderio di non maternità può essere forte tanto come quello di essere madre.

NEL MEZZO DELLA MOLTITUDINE Flor ferma Martina, che non conosce, per chiederle un po’ del suo glitter verde. «Non ho casi di aborto vicini a me ma si tratta di avere un po’ di empatia con ciò che succede alle altre» – dice. Julia e Sonia, di 19 anni, hanno i fazzoletti verdi legati in testa: «Per avere diritti bisogna conquistarseli» dice una mentre camminano per Avenida Callao, l’arteria cittadina che porta al Congresso.

«Io non lo farei e non sono d’accordo con l’aborto, ma mi sembra importante la legalizzazione» dice Macarena, 24 anni e gli occhi truccati di verde. Seduta in mezzo alla strada, con un telo sull’asfalto, una ragazza vende fazzoletti verdi e dice d’essere d’accordo con il simbolo femminista.

Nel frattempo sotto allo stand montato di fronte al Congresso, una delle referenti storiche della campagna, l’avvocata Nelly Minyersky prende con una mano il bastone e con l’altra il microfono per sintetizzare: «Lottiamo per un diritto umano fondamentale. Il diritto all’aborto non è solo il diritto sul nostro corpo, ma anche il diritto a decidere se vogliamo avere figli o no. È il diritto al proprio destino».

 

traduzione di Gianluigi Gurgigno