Le decisioni di Donald Trump e dei suoi predecessori in materia di diritto all’aborto colpiscono i diritti delle donne a migliaia di chilometri di distanza. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Lancet Global Health dalla ricercatrice Nina Brooks insieme ai colleghi Eran Bendavid e Grant Miller, della università californiana di Stanford.

I ricercatori hanno studiato il tasso di gravidanze e di interruzioni volontarie in oltre settecentomila donne in 26 Paesi dell’Africa sub-sahariana dal 1995 a oggi. In questo periodo si sono alternate presidenze democratiche (Clinton e Obama) e repubblicane (Bush e Trump), con posizioni opposte sul diritto all’aborto. Osservando le statistiche sanitarie, i ricercatori hanno scoperto che ogni cambio di rotta negli Usa ha avuto pesanti ripercussioni anche in Africa. Il tasso di aborto ogni volta ha oscillato a causa del disimpegno delle ong ostacolate dall’amministrazione statunitense. Durante la presidenza Bush, nei paesi in cui le ong erano più attive nel settore del controllo delle nascite il tasso di aborti è salito del 40% rispetto ai paesi in cui le ong americane si occupano soprattutto di altro.

La colpa è della cosiddetta «strategia di Città del Messico», puntualmente riesumata dalla destra statunitense quando è salita al potere, tra il 2001 e il 2008 e dopo il 2017. Si tratta del divieto ad accedere ai finanziamenti pubblici per le organizzazioni non governative che promuovono campagne di informazione sulla contraccezione e contro la criminalizzazione dell’aborto.

Il nome della strategia nasce dalla conferenza internazionale sulla popolazione che si tenne a Città del Messico nel 1984 e in cui Ronald Reagan annunciò la decisione di penalizzare le organizzazioni sgradite alla destra. La decisione fu poi sospesa da Bill Clinton, riaffermata da George W. Bush e abrogata di nuovo da Obama. Trump l’ha reintrodotta il 23 gennaio del 2017, appena tre giorni dopo il suo ingresso alla Casa Bianca. In questi anni, la «strategia» è servita soprattutto a conquistare i consensi dei settori più tradizionalisti dell’elettorato Usa. Ma a farne le spese sono state soprattutto le donne dell’Africa subsahariana, che proprio negli anni della sedicente lotta all’aborto hanno visto salire il numero di gravidanze indesiderate e, di conseguenza, le interruzioni volontarie.